Viene condannato a 6 mesi di reclusione il datore di lavoro per la morte del dipendente vittima di un infortunio sul lavoro

La vicenda approda in Cassazione (sez. IV, sentenza n. 29947 del 29 ottobre 2020) per impugnazione della decisione resa dalla Corte di Appello di Bologna, in conferma della sentenza emessa dal Tribunale di Ferrara, che condannava il datore di lavoro alla pena di sei mesi di reclusione, per omicidio colposo del proprio dipendente, vittima di un infortunio sul lavoro.

In sostanza al datore di lavoro veniva contestata negligenza, imprudenza, imperizia e colpa specifica per violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, Comma 7, lett. a), per non aver preso le misure necessarie affinché l’uso del camion con cassone ribaltabile in dotazione, quale attrezzatura di lavoro per la quale era stato individuato, nel documento di valutazione dei rischi, il rischio specifico di folgorazione da contatto con linee elettriche aeree, venisse riservato a lavoratori che avessero ricevuto un’informazione, formazione ed addestramento adeguati.

Il datore di lavoro impugna in Cassazione la decisione della Corte di Bologna contestando l’effettiva sussistenza del nesso di causalità.

Nello specifico viene evidenziato che il lavoratore era addetto esclusivamente al carico della merce e che alzava autonomamente e di propria iniziativa il cassone del camion.

Inoltre,  il rischio di folgorazione era espressamente previsto dal manuale di uso del veicolo, pertanto la responsabilità della mancata acquisizione delle informazioni graverebbe sul lavoratore essendo le stesse rilevabili dalla documentazione in suo possesso.

La Suprema Corte ritiene manifestamente infondati i motivi di doglianza del datore di lavoro e dichiara il ricorso inammissibile, in quanto la sentenza impugnata risulta logica e congrua nelle motivazioni e corretta in punto di diritto.

Il lavoratore, risultava assunto da poco più di un mese e possedeva scarse competenze linguistiche, pertanto non è certamente condivisibile la tesi difensiva della mancata colpevole acquisizione da parte dello stesso delle informazioni riportate nel manuale d’uso del veicolo.

E’ fuori di dubbio l’obbligo di informazione e formazione del lavoratore che andava certamente sensibilizzato sull’esistenza del rischio di folgorazione.

In tal senso la giurisprudenza è ferma nel ritenere il datore di lavoro obbligato a fornire una adeguata formazione ai lavoratori e ai soggetti preposti alla sicurezza.

La violazione degli obblighi inerenti la formazione e l’informazione dei lavoratori integra un reato permanente, in quanto il pericolo per l’incolumità dei lavoratori permane nel tempo e l’obbligo in capo al datore di lavoro continua nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo fino al momento della concreta formazione impartita o della cessazione del rapporto.

Il datore di lavoro deve predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori.

Per tali ragioni il datore risponde dell’infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte.

E’ proprio tramite l’adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti, e ove egli non adempia a tale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell’infortunio sul lavoro, laddove l’omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell’evento.

Oltretutto, l’obbligo di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori.

Più in generale, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche, e soprattutto, controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori.

I Giudici del merito hanno deciso correttamente, condividendo l’assunto logico del Tribunale secondo cui “ove l’attenzione del lavoratore fosse stata specificamente richiamata al riguardo, vi è infatti una probabilità logica verosimilmente prossima all’assoluta certezza, che lo stesso avrebbe bene provveduto a verificare, prima di effettuare la manovra, di non trovarsi sotto una linea elettrica e, successivamente, di entrare in contatto con le parti metalliche del proprio mezzo”.

Il datore di lavoro è esente da responsabilità solo quando il comportamento anomalo del lavoratore risulta assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere.

Non può considerarsi “abnorme” che il lavoratore deceduto provvedeva -movimentandolo- a svuotare il cassone del camion dall’acqua piovana prima di caricare le merci.

La decisione di smaltire l’acqua piovana prima di caricare i cereali sul cassone – come ricordano i Giudici del gravame del merito – è una manovra sensata considerato che a contatto con l’acqua i cereali marciscono e fermentano.

Per tali ragioni La Corte respinge il ricorso del datore di lavoro dichiarandolo inammissibile e lo condanna al pagamento delle spese di lite e della sanzione pecuniaria  di euro duemila.

Avv. Emanuela Foligno

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