È responsabile dell’infortunio del dipendente, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 231/2001, la società che risparmia sulla formazione del personale

L’infortunio sul lavoro

La Corte d’appello aveva ricostruito la vicenda, conformemente alla sentenza di primo grado, escludendo l’abnormità della condotta del lavoratore infortunato, che era stato destinato dal preposto, in più occasioni e non solo in quella in cui si era verificato l’infortunio, a mansioni pericolose per le quali non aveva titolo abilitativo né era formato, cioè alla conduzione del “muletto”, mentre era stato assunto per fissare da terra i sacchi al veicolo.

Il fatto era accaduto nel maggio del 2009, dopo le ore 22.00 circa, all’interno della centrale elettrica di Brindisi ai danni di un operaio, assunto a tempo determinato per un mese, da una agenzia di somministrazione lavoro con le mansioni di addetto all’assemblaggio (“imbracatore”)- montatore manuale per una società che aveva avuto in appalto dall’Enel il nolo “a caldo” dei messi di sollevamento in relazione all’attività di sollevamento di sacchi si sale e di trasporto degli stessi in appositi siti.

La dinamica dei fatti

Nell’occasione, l’operaio che era giunto quasi al termine dell’orario di lavoro, avendo iniziato alle 15.00, stava conducendo un carrello elevatore (“muletto”) con il quale sollevava i pesanti sacchi pieni di sale, peraltro senza l’aiuto di un collega a terra, e li portava sino al luogo indicato per lo stoccaggio temporaneo.

A causa del ribaltamento del muletto sul fianco sinistro, mentre percorreva il mezzo su un percorso diverso da quello previsto per la fase di lavoro, il giovane rimaneva schiacciato e per il peso del mezzo sulla gamba perdeva l’arto sinistro.

La causa del ribaltamento era stata individuata in una improvvisa manovra di svolta a destra del conducente, che stava guidando il mezzo a velocità massima. Inoltre, secondo le emergenze istruttorie, al momento dell’infortunio egli non indossava la cintura di sicurezza di cui pure il mezzo era provvisto e che era obbligatorio indossare.

La Corte di cassazione (Sezione Lavoro, n. 3731/2020) ha confermato la responsabilità del titolare della ditta mentre per quanto riguarda il capocantiere il reato è stato dichiarato prescritto.

Quanto all’ente è stata pure confermata la responsabilità ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 231/2001. Nella specie, il Supremo Collegio ha individuato il risparmio di spesa nell’aver in più occasioni utilizzato un solo lavoratore non formato, anziché una coppia di lavoratori, di cui uno formato.

“Il sistema introdotto dal d.lgs. n. 231/2001, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i principi costituzionali e di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza”.

La nozione di “interesse” e “vantaggio”

Nell’affermare questo principio, la Corte di Cassazione ha chiarito che in tema di responsabilità dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, grava sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente, mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati nella specie di quello verificatosi” (Sez. Un. n. 38343/2014).

A tal riguardo, principale punto di partenza è l’individuazione delle nozioni di “interesse” e di “vantaggio” di cui al richiamato art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2001. (1. L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché’ da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)”).

La responsabiità amministrativa dell’ente per l’infortunio del lavoratore

Ebbene, la giurisprudenza ha già chiarito che “In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, sussiste l’interesse dell’ente nel caso in cui l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa, mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività” (Cass. n. 31003/2015 e n. 31210/2016); ed anche che “in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il “risparmio” in favore dell’impresa, nel quale si concretizzano i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, può consistere anche nella sola riduzione dei tempi di lavorazione.

Fonti di risparmio di spesa che possono costituire il presupposto dell’applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 231/2001 per esemplificare ulteriormente, sono anche il risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e di informazione del personale, ovvero la velocizzazione degli interventi di manutenzione ed il risparmio sul materiale di scarto.

La decisione

Ed invero nel caso di specie, la ditta utilizzatrice della manodopera inviata dalla agenzia di somministrazione avrebbe dovuto adempiere agli oneri di formazione, addestramento e sicurezza del lavoratore.

Per queste ragioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando la pronuncia di condanna.

La redazione giuridica

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