“I toccamenti dell’insegnante, seppur fugaci, erano stati comunque reiterati e invadenti, al punto da spingere la ragazzina ad uscire dall’acqua per porre fine a quella situazione”: la Cassazione ha confermato la condanna per violenza sessuale

La vicenda

Un anno e due mesi di reclusione. E’ la condanna che la Corte d’appello di Catanzaro aveva pronunciato a carico di un insegnante, ritenuto colpevole del reato di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis cod. pen.

L’accusa era quella di aver costretto la persona offesa, all’epoca minorenne, a subire atti sessuali, “dapprima cingendole la vita da dietro e, dopo che la predetta era riuscita a divincolarsi, avvicinandosi a lei nuovamente, stringendole le mani sui seni”.

Contro la sentenza della Corte di appello calabrese, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.

Con il primo, la difesa censura la valutazione di attendibilità della persona offesa e, di conseguenza, la formulazione del giudizio di colpevolezza a suo carico, in ordine al reato ascrittogli.

La Corte di appello aveva ritenuto credibile il racconto della vittima, nonostante le molteplici incongruenze e i contrasti con gli altri elementi probatori acquisiti.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’inosservanza degli art. 40 comma 2 cod. pen., 192 cod. proc. pen. e 1226 e 1227 cod. civ., nonché la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in ordine al risarcimento del danno riconosciuto alle costituite parti civili, dovendosi ritenere ostative al riconoscimento di una pretesa risarcitoria la dedotta inattendibilità della minorenne e le lacune probatorie.

Con il terzo motivo, infine, il ricorrente censura l’inosservanza della legge penale, sia in relazione alla determinazione della pena irrogata, sia rispetto all’omessa concessione delle attenuanti generiche.

La Corte di Cassazione (Terza Sezione Penale, sentenza n. 43414/2019) ha dichiarato il ricorso infondato.

Per i giudici della Suprema Corte, il giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ascrittogli era immune da vizi.

E invero, le due conformi sentenze di merito, avevano ricostruito i fatti in maniera chiara e puntuale, valorizzando in primo luogo le dichiarazioni della persona offesa (classe 1992) la quale aveva descritto compiutamente gli episodi verificatisi sulla spiaggia di Crotone il 6 luglio 2007: intorno alle 13, la minore, all’epoca quindicenne, mentre si trovava in acqua con un suo amico, con la madre rimasta in spiaggia, veniva avvicinata da un uomo, poi identificato nell’imputato (classe 1953), il quale si trovava a Crotone con altri due colleghi insegnanti, essendo tutti e tre impegnati quali commissari esterni negli esami di maturità.

Tra i due ragazzini e quest’ultimo nasceva quindi una conversazione, al termine della quale, dopo che l’amico della quindicenne si era allontanato per rientrare in spiaggia, il docente, che aveva espresso vari apprezzamenti fisici alla ragazzina, si proponeva di insegnarle a immergersi in acqua, prestandole una maschera da sub; nell’impartire la lezione, l’uomo tuttavia toccava fugacemente la ragazzina in varie parti del corpo, comprese le zone erogene (in particolare il seno).

Comprese le intenzioni del suo interlocutore, la minore usciva quindi dall’acqua raggiungendo il suo coetaneo e informando la madre dell’accaduto.

Orbene, il racconto della persona offesa è stato ritenuto attendibile, sia perché spontaneo e lineare, sia perché privo di intenti calunniosi o di forme di gratuita enfatizzazione, sia ancora perché confermato, quantomeno nella ricostruzione delle fasi iniziali dell’approccio, dall’amico di quest’ultima.

E, in ogni caso, le lievi discrasie nelle dichiarazioni della vittima erano state – a giudizio degli Ermellini –  ragionevolmente ritenute non significative, perché relative ad aspetti marginali della vicenda e anche perché giustificate dalla concitazione dei fatti.

Sia il G.U.P. che la Corte di appello avevano, inoltre escluso che la persona offesa avesse equivocato il significato dei gesti del professore, non solo perché gli stessi erano stati preceduti da vari apprezzamenti fisici, ma soprattutto perché i toccamenti, seppur fugaci, erano stati comunque reiterati e invadenti, al punto da spingere la ragazzina a uscire dall’acqua per porre fine a quella situazione.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati anche il secondo e il terzo motivo di ricorso.

Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti, è stato escluso il vizio motivazionale evocato dalla difesa, avendo i giudici di merito rimarcato, in senso ostativo, la reiterazione degli atti invasivi della altrui libertà sessuale e la giovane età della vittima, aspetti questi a fronte dei quali la condizione di incensuratezza dell’imputato era rimasta ragionevolmente sulla sfondo, in assenza di altri elementi meritevoli di positiva considerazione. Senza poi, contare che a quest’ultimo era stata, comunque, riconosciuta l’attenuante della minore gravità, applicata quasi nella misura massima consentita, e che il G.U.P. gli aveva concesso sia la sospensione condizionale della pena che il beneficio della non menzione.

La redazione giuridica

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