La vicenda ha ad oggetto l’impugnativa del licenziamento comminato dalla Banca datrice di lavoro per giusta causa. Il caso affrontato dalla Corte di Cassazione rappresenta un esempio emblematico del modo in cui la nozione di insussistenza del fatto non contestato venga interpretata e applicata nel contesto dei licenziamenti per giusta causa. (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, ordinanza 4 giugno 2025, n. 15042).
I fatti
La Banca aveva addebitato al dipendente l’assenza ingiustificata nelle giornate dal 22 al 24 settembre 2021, durante le quali – nonostante lo stato di malattia – era stato osservato nell’atto di svolgere prestazioni lavorative presso un B&B nonché la fruizione abusiva del permesso ex L. 104/1992 del 6 ottobre 2021, in difetto di effettivo intervento assistenziale a favore del padre disabile.
Il Tribunale di Milano respinge l’opposizione proposta dal lavoratore contro il licenziamento per giusta causa, intimatogli dalla Banca (sua datrice) a seguito di contestazione disciplinare del 4 novembre 2021.
Illegittimità del licenziamento
La Corte d’appello di Milano accoglie il reclamo proposto dal lavoratore e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara l’illegittimità del licenziamento intimato la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e il pagamento di una indennità pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.
La Corte milanese ha ritenuto che le condotte del lavoratore, pacifiche sotto l’aspetto fattuale, non fossero idonee ad integrare gli illeciti disciplinari contestati. In particolare, ha affermato che la prospettazione dello svolgimento di attività lavorativa, consistita nella gestione di un Bed & Breakfast durante le assenze per malattia non aveva trovato riscontro nelle risultanze investigative, “sotto il duplice aspetto dell’opera svolta dal dipendente e del carattere della struttura”. Evidenziava, infatti, che il B&B, di piccole dimensioni e sito nell’abitazione in cui il lavoratore stesso risiedeva, era privo del carattere imprenditoriale e compatibile con una gestione familiare e che le prestazioni svolte dallo stesso, appaiono prive delle caratteristiche di professionalità. La Corte escludeva, anche, il secondo addebito non risultando provato un “abuso” del permesso ex l. 104/1992, concesso per l’assistenza al padre.
La Banca si rivolge alla Corte di Cassazione per riformare la sentenza di secondo grado.
Argomenta, anzitutto, dell’omesso esame di diversi fatti decisivi oggetto di discussione nel giudizio di merito, ovvero: la sede di lavoro del dipendente a circa 1000 km di distanza dal B&B e che, pertanto, l’attività svolta dal citato B&B era un’attività lavorativa a tutti gli effetti e, in quanto tale, incompatibile con il rapporto di lavoro a tempo.
L’insussistenza del fatto non contestato
Le doglianze vengono rigettate in toto. Il datore di lavoro non individua uno, o più specifici fatti, il cui esame sarebbe stato omesso dal Giudice del reclamo limitandosi a prospettare una valutazione alternativa rispetto a quella svolta in relazione allo svolgimento di una attività lavorativa “parallela”.
Inoltre, la contestata rilevante distanza tra la sede di lavoro e la residenza presso il B&B, non risulta in alcun modo essere stata fatta oggetto di discussione tra le parti, non rinvenendosi traccia di detta circostanza dalla sentenza impugnata.
La S.C. rammenta che il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Sotto tale aspetto il motivo è, dunque, privo di autosufficienza.
Ad ogni modo, dalla lettura della sentenza di secondo grado emerge che le circostanze contestate dalla Banca, invece, sono state fatte oggetto di valutazione nell’ambito del complessivo apprezzamento delle risultanze istruttorie. In particolare, la Corte milanese ha esaminato, ritenendola non dirimente ai fini della qualificazione come “attività lavorativa” le prestazioni concretamente svolte dal lavoratore riconducibili alla gestione del B&B, la circostanza dell’indicazione di quest’ultimo e del suo numero di cellulare come contatto di riferimento nel sito web – di cui lo stesso era amministratore – e sulla targa della struttura, trattandosi “di dati pienamente compatibili con la sua residenza nel medesimo immobile adibito anche a fini recettivi e con il ricordato carattere familiare della relativa gestione”.
La Banca tende a una rivalutazione dei fatti storici
Egualmente non può dirsi che il Giudice di secondo grado abbia violato l’obbligo di motivazione perché, a sostegno della insussistenza del fatto contestato ovvero del carattere “professionale” dell’attività svolta nella gestione del B&B, il ragionamento svolto risulta articolato in relazione a tutte le risultanze probatorie e perfettamente comprensibile.
In buona sostanza, la Banca tende a una rivalutazione dei fatti storici operata dal Giudice di merito che è inammissibile.
Nel caso in questione, quanto alla dedotta violazione dell’art. 41 CCNL la Corte di secondo grado ha implicitamente risolto in senso negativo la questione della sussistenza dell’addebito disciplinare nella parte in cui ha radicalmente escluso sia la natura imprenditoriale dell’attività di B&B sia, ed a maggior ragione, lo svolgimento di una attività “lavorativa” ed ha ricondotto le attività oggetto di ispezione a “normale vita personale e domestica” all’interno della abitazione di residenza.
Il ricorso, in conclusione, viene rigettato.
Avv. Emanuela Foligno