Intervento errato e onere di allegazione del danneggiato

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Dopo l’intervento il paziente viene colpito da ischemia ma l’intervento salvifico risulta inutile. Il danneggiato chiama in causa il chirurgo che però sostiene che la vittima non avrebbe assolto all’onere di allegazione.

La vicenda clinica

Il paziente si è sottoposto ad un intervento di “endoarteriectomia sinistra” presso l’Ospedale Papardo di Messina. Subito dopo si verifica un episodio di ischemia a causa delle condizioni in cui la carotide era stata lasciata dalla manipolazione, in un secondo intervento lo stesso medico ha cercato di porvi rimedio inutilmente e il paziente ha riportato danni permanenti.

Il Tribunale di Messina ha rigettato l’eccezione di prescrizione, ha accertato la responsabilità del medico e lo ha condannato in solido con l’azienda a corrispondere 663.689 euro di risarcimento, inoltre, ha dichiarato inammissibile la domanda verso l’assicurazione Zurich.

La Corte d’appello conferma la decisione di primo grado

Il Medico sostiene che, sebbene il primo intervento non sia stato errato, v’è stata tuttavia colpa nell’aver ritardato il secondo intervento, che mirava a rimediare alle conseguenze del primo, e che andava eseguito entro una o due ore dalla trombosi. Questa conclusione è argomentata anche per il fatto che, secondo i giudici di merito, non essendoci dati in cartella clinica da cui dedurre che l’intervento è stato effettuato tempestivamente, era onere del medico dimostrare che le complicanze sono sorte dopo, ed in particolare dopo il secondo intervento.

Il ricorrente ritiene che l’attore non ha assolto all’onere di allegazione, poiché ha genericamente ritenuto inadempiente il medico per avere non correttamente eseguito l’intervento e provocato l’ischemia. Invece la Corte ha accertato che l’intervento è stato eseguito correttamente e che, semmai, la responsabilità del medico sta nel ritardo nella esecuzione del secondo intervento (che serviva a rimediare al trombo causato dal primo intervento): ma questa negligenza, questa condotta inadempiente, non era stata affatto allegata dal ricorrente.

L’onere di allegazione

La censura è infondata: l’allegazione è soddisfatta dal riferimento a quanto conoscibile al momento della domanda ed in riferimento alle conoscenze tecniche esigibili dall’attore, e non si estende agli aspetti specifici della responsabilità professionale conoscibili solo dagli esperti (Cass. 7074/2024).

Il Giudice non è rigidamente vincolato alle iniziali prospettazioni dell’attore, stante la inesigibilità della individuazione ex ante di specifici elementi tecnico-scientifici, di norma acquisibili solo all’esito dell’istruttoria e dell’espletamento di una C.T.U., potendo pertanto accogliere la domanda nei confronti della struttura in base al concreto riscontro di profili di responsabilità diversi da quelli in origine ipotizzati, senza violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Il paziente ha infatti indicato, quale elemento di responsabilità del medico, il fatto di avere causato l’ischemia e ciò è sufficiente a ritenere assolto l’onere di allegazione. Ovviamente le modalità con cui l’ischemia è stata provocata non ricadono in quell’onere, poiché costituiscono il frutto di conoscenze tecniche, per le quali il Giudice di merito dispone la consulenza.

Sulla esecuzione del secondo intervento, il ricorrente sostiene che il CTU aveva dato due possibilità, ossia aveva prospettato due ipotesi ricostruttive. Secondo la prima, il secondo intervento è stato eseguito in ritardo; in base alla seconda, invece, in tempo. Poiché dalla cartella non risultavano i dati sufficienti a stabilire l’insorgenza del trombo, allora la Corte di Appello ha addossato l’onere di prova al medico. Su quest’ultimo profilo egli sostiene che non era suo compito la compilazione della cartella clinica, bensì compito del reparto dove poi il paziente veniva ricoverato ove doveva essere diagnosticata la sofferenza insorta nel paziente.

Le censure non colgono la ratio della decisione di appello (Corte di Cassazione, III civile, 8 ottobre 2024, n. 26271).

La cartella clinica incompleta

Non ha alcuna importanza chi abbia compilato la cartella clinica e a chi siano addebitabili le carenze di quel documento: conta che, se quella cartella è incompleta, chiunque l’abbia redatta, è onere del medico provare i fatti che quella cartella avrebbe dovuto attestare (Cass. 6209/2016).

Utilizzare il criterio di imputazione costituito dal contatto sociale significa dire che, una volta che il rapporto contrattuale è stato instaurato tra il paziente e l’azienda, ogni medico che è intervenuto nella cura ha avuto con il paziente un rapporto che si avvicina al contratto. La circostanza che il paziente sia stato trasferito di reparto non elimina quel rapporto che si era instaurato con il medico del reparto precedente. In secondo luogo il criterio di imputazione qui non è nel contatto sociale, ma nella responsabilità contrattuale della struttura.

Il medico operante aveva il controllo del paziente nella notte successiva all’intervento, e questo è pacifico, dunque era suo compito accorgersi del trombo, è fuori da ogni logica sostenere che invece erano altri medici a doversi accorgere della sofferenza neurologica e dunque della circostanza che era insorto un trombo.

La Cassazione rigetta il ricorso del chirurgo.

Avv. Emanuela Foligno

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