Invalidità permanente da fatto illecito e incidenza sulla contrazione del reddito (Cass. civ, sez. III, 6 settembre 2023, n. 26009).
I fatti
Il danneggiato, mentre stava intonacando una parete, a causa del cedimento del ponteggio, precipitava da oltre sei metri di altezza riportando lesioni gravi, in particolare ai polsi, oltre che su varie parti del corpo con una accertata invalidità permanente del 38%.
Lo stesso sporgeva querela nei confronti dell’Ingegnere che gli aveva conferito l’incarico. Il Tribunale penale di Firenze riconosceva la responsabilità del suddetto professionista condannandolo, tra l’altro, a rifondere i danni al danneggiato sul presupposto che costui, prima di far salire sul ponteggio l’artigiano, avrebbe dovuto assicurarsi che la struttura fosse idonea e non pericolante. In appello tale decisione veniva integralmente confermata. L’Ingegnere proponeva ricorso dinanzi alla Cassazione penale che dichiarava estinto il reato per prescrizione, confermando le statuizioni civili.
La causa per il risarcimento danni
Successivamente il danneggiato evocava in giudizio l’Ingegnere onde ottenere il risarcimento per le lesioni subite.
Il Tribunale di Firenze riteneva responsabili in solido sia l’Impresa edile, sia l’Ingegnere, condannandoli al risarcimento dei danni, riteneva inoltre un concorso di colpa nella misura del 20% a carico dello stesso danneggiato. Quest’ultimo proponeva appello contestando l’attribuzione di colpa, il mancato riconoscimento del “danno pensionistico” e il mancato riconoscimento della contrazione del reddito. La Corte di Appello di Firenze accoglieva parzialmente l’appello del danneggiato, confermando la responsabilità in solido dell’ingegnere e della Impresa Edile.
Il ricorso in Cassazione
Contro questa decisione propone ricorso per Cassazione il danneggiato.
Secondo la tesi dello stesso, i Giudici penali hanno accertato la responsabilità dell’Ingegnere per le lesioni subite, e questo accertamento è diventato definitivo quanto alle statuizioni civili, su cui vi è stata espressa pronuncia del Giudice penale.
Conseguentemente troverebbe applicazione il principio di diritto secondo cui “qualora, in sede penale, sia stata pronunciata in primo o in secondo grado la condanna, anche generica, alle restituzioni e al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, e la Corte di Cassazione, nell’annullare senza rinvio la pronuncia per essere il reato estinto per prescrizione, tenga “ferme le statuizioni civili, attesa la sentenza di condanna in primo grado e l’assenza di impugnazione sul punto“, tale decisione forma il giudicato sulla statuizione resa dal Giudice penale, a norma dell’art. 578 c.p.p., sulla domanda civile portata nella sede penale, come tale vincolante in ogni altro giudizio tra le stesse parti in cui si verta sulle conseguenze, anche diverse dalle restituzioni o dal risarcimento.
Sull’obbligo di risarcimento non si poteva più discorrere
In altri termini, sull’obbligo di risarcimento non si poteva più discorrere. Tuttavia, nel giudizio civile è stato però accertato il concorso di colpa del danneggiato, nonostante anche su tale circostanza fosse sceso il giudicato penale, ciò in quanto i Giudici penali si erano occupati della questione del ruolo del danneggiato stesso nella causazione dell’evento, escludendone qualsivoglia concorso di colpa.
Ergo, il Giudice civile, avrebbe dovuto attenersi al principio “nel giudizio civile risarcitorio il giudicato penale di condanna spiega effetto vincolante ai sensi dell’art. 651 c.p.p. in ordine all’accertamento del nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica e delle circostanze di tempo, luogo e modo di svolgimento di esso, ma non preclude al giudice civile l’accertamento dell’apporto causale del danneggiato – il quale, se di regola è inidoneo ad escludere la responsabilità penale, può ridurre la responsabilità civile del danneggiante ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c. – ove non sia stato considerato dal giudice penale ai fini dell’accertamento a lui demandato”.
Ebbene, sostiene sempre il danneggiato, i Giudici penali sono stati investiti della questione inerente la esistenza di responsabilità nell’evento per colpa dello stesso danneggiato, escludendone espressamente qualsiasi concorso di colpa, e dunque al Giudice civile era impedito un accertamento autonomo.
La censura è fondata
Con un secondo motivo, il danneggiato si duole del mancato riconoscimento della perdita della capacità lavorativa. La Corte di Appello ha accertato la contrazione dei redditi del danneggiato per i successivi 14 anni durante i quali ha ripreso a lavorare dopo l’incidente. Tale contrazione del reddito veniva risarcita prendendo come base di calcolo il reddito di 57.760 euro, considerando che negli anni successivi invece il reddito medio è stato di 17.581,35 euro, notevolmente inferiore al 38% di invalidità. I Giudici di appello sostenevano che essendo il danno biologico permanente accertato del 38%, la medesima percentuale andava applicata per calcolare la contrazione del reddito. In altri termini, secondo tale ragionamento, la perdita di guadagno può essere riconosciuta soltanto nella percentuale di invalidità permanente.
Conseguentemente, veniva calcolato che la contrazione del reddito della misura del 38% rispetto a quello iniziale (57.760 euro) al netto dell’invalidità, negli anni successivi avrebbe dovuto essere in media di 21.948 euro (ossia, per l’appunto, il 38% in meno dei 57.760,00). Il danneggiato contesta questo calcolo deducendo che il reddito non deve per forza considerarsi contratto nella percentuale di invalidità, ossia di danno biologico, ben potendo una danno biologico permanente del 38% causare una contrazione dei guadagnai del 50%, o comunque, in una misura superiore.
Anche la seconda censura è fondata
Il criterio di calcolo adottato dalla Corte di Appello non ha fondamento né logico, né giuridico, potendo senz’altro un danno biologico permanente lieve comportare una grossa contrazione dei guadagni, e viceversa, a seconda del tipo di invalidità permanente (già in tal senso Cass. 2463/2020).
In altri termini, la Cassazione ribadisce che non vi è una automatica corrispondenza tra entità del danno biologico permanente e correlata contrazione del reddito.
Un danno biologico permanente di lieve entità se riguarda, ad esempio, un arto decisivo per il lavoro (la mano per lo scalpellino) ha un’incidenza assai maggiore di una lesione di grave entità che però non incide sulla capacità di lavoro del danneggiato (la zoppia per un lavoratore intellettuale). Ragionando in senso contrario, come hanno fatto i Giudici di Appello non si garantisce l’integralità del risarcimento alla persona danneggiata.
Le osservazioni dell’avv. Foligno
La decisione a commento si presenta interessante per due ragioni.
Da un lato viene passato al vaglio, per l’ennesima volta, il principio di giudicato e la preclusione dell’accertamento per il Giudice civile del concorso di colpa del danneggiato ai sensi dell’art. 1227 c.c., qualora tale circostanza sia appositamente stata considerata e accertata dal Giudice penale.
Dall’altro, viene analizzata la questione inerente la perdita di guadagno come conseguenza dell’evento lesivo. In primis, vi è da dire che la base di calcolo della contrazione dei redditi è da valutarsi sulla base della documentazione fiscale, non potendo essere tale circostanza valutata presuntivamente.
Ciò fermo e impregiudicato, è del tutto errato applicare la medesima percentuale di danno biologico permanente per addivenire all’importo equivalente alla contrazione del reddito lavorativo. Difatti, gli Ermellini hanno ben spiegato che un danno biologico permanente lieve potrebbe essere, comunque, causa di una importante diminuzione dei guadagni, a seconda dell’attività esercitata dal danneggiato.
Avv. Emanuela Foligno