Invasione della corsia di marcia opposta, vittima responsabile al 60%

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invasione della corsia di marcia opposta

L’automobilista aveva riportato lesioni mortali in un sinistro determinato dall’invasione della corsia di marcia opposta

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7406/2020 si è pronunciata sul ricorso proposto dagli eredi di un automobilista deceduto a causa di un sinistro stradale. L’uomo, alla guida della sua auto, aveva riportato lesioni mortali entrando in collisione con un veicolo dopo l’invasione della corsia di marcia opposta.

Il Tribunale aveva dichiarato che l’incidente si era verificato per colpa concorrente della vittima (al 30%) e del mezzo antagonista (al 70%), condannando in solido il proprietario, il conducente e l’impresa assicurativa di quest’ultimo al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della complessiva somma di euro 620.388,00 oltre interessi.

La Corte di appello aveva parzialmente riformato la pronuncia di primo grado indicando nella misura rispettivamente del 60% e del 40% il contributo causale nella verificazione dell’incidente a carico della vittima e del conducente del veicolo antagonista, rideterminando anche il quantum debeatur.

In particolare il Giudice del gravame aveva ritenuto più grave (e da valutare appunto nel 60% del contributo causale nella verificazione dell’evento) il comportamento dell’automobilista deceduto, che incontestatamente aveva invaso l’opposta corsia di marcia e non rispettato l’obbligo di dare la precedenza (e quindi aveva originato una situazione di estremo pericolo), e meno grave (da valutare nel 40% del predetto contributo) quello del conducente del mezzo antagonista (che viaggiava ad una velocità non consona alla situazione ambientale), che rilevava solo in termini di aggravamento delle conseguenze.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte i ricorrenti deducevano che la Corte territoriale, al fine della determinazione del grado di efficienza causale dei comportamenti dei conducenti, avesse applicato “il criterio della priorità della condotta nell’originare il sinistro”, essendo a tal fine, invece, a loro avviso, necessario valutare la gravità delle rispettive condotte e l’entità delle conseguenze che ne erano derivate ai sensi e per gli effetti degli artt. 1227, primo comma, e 2055, secondo comma, cod. civ.

Inoltre, eccepivano che il Giudice a quo avesse applicato “il criterio della priorità della condotta nell’originare il sinistro” ai fini della determinazione del grado di efficienza causale dei comportamenti dei conducenti anche sotto il profilo della prevedibilità dell’evento da parte del conducente del veicolo antagonista. Secondo i ricorrenti, invece, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare la maggiore efficienza causale del comportamento di quest’ultimo, che aveva tenuto una velocità eccessiva che sarebbe stata, appunto, la causa efficiente nella produzione del sinistro, valutando se, invece, con una velocità adeguata e nel rispetto dei limiti di velocità, vi fosse lo spazio di frenata secondo le condizioni ambientali.

Infine lamentavano che il Collegio distrettuale avesse erroneamente ritenuto che dalle risultanze istruttorie fosse emerso che il conducente del veicolo antagonista, viaggiando ad una velocità elevatissima, non avrebbe potuto impedire l’evento, e deducevano di aver contestato negli scritti difensivi tale circostanza, che, peraltro, era una mera ipotesi.

Gli Ermellini hanno ritenuto le doglianze inammissibili risolvendosi in una censura sulla valutazione in fatto operata dalla Corte di merito in ordine alla graduazione delle colpe dei conducenti dei veicoli coinvolti.

La Corte territoriale, invero, sulla base dell’accertata dinamica del sinistro, aveva valutato le responsabilità dei due conducenti e le rispettive colpe, ritenendo, nell’esercizio del suo potere discrezionale (proprio del giudice del merito), preponderante quella della vittima per non avere rispettato il segnale di precedenza e per aver invaso l’opposta corsia di marcia (e, quindi, per aver originato una situazione di estremo pericolo, nel che si risolve il criterio della priorità della condotta), rispetto a quella della controparte, per avere tenuto una velocità non consona alla situazione ambientale, rilevante solo in termini di aggravamento delle conseguenze, ponendo in rilievo che dalle evidenze istruttorie era emersa “l’ipotesi” che quest’ultimo non avrebbe comunque potuto evitare l’evento e che doveva non di meno considerarsi che i danni riportati dai veicoli e gli esiti della collisione facevano desumere che una velocità adeguata avrebbe comportato conseguenze meno gravose.

In conclusione, la Corte territoriale, nel valutare gli elementi acquisiti al processo, aveva ritenuto che dalle evidenze istruttorie fosse emerso che il conducente del veicolo antagonista, “pur viaggiando ad una velocità non consona alla situazione ambientale, non avrebbe potuto evitare l’evento” e aveva motivatamente ritenuto che la sua condotta “rileva[va] solo in termini di aggravamento delle conseguenze”.

La redazione giuridica

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