Investimento del pedone, velocità salvifica e velocità prudenziale

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L’automobilista viene giudicato colpevole da entrambi i Giudici di merito e la Corte di Cassazione conferma la correttezza della condanna (Cassazione Penale, sez. IV, dep. 03/06/2024, n.22038). Interessante la disamina della differenza tra velocità salvifica e velocità prudenziale.

Il caso

La Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado di condanna dell’automobilista. L’imputato, alla guida dell’autovettura Volkswagen Golf, non ha assunto un’adeguata attenzione, anche in ragione delle condizioni di luogo di luce – e di conseguenza visibilità. Quindi adeguando la velocità al fine di evitare collisioni, cagionava la morte del pedone che stava percorrendo a piedi la strada, nel medesimo senso di marcia, e quindi con traiettoria parallela a quella del veicolo.

Il pedone veniva urtato da dietro agli arti inferiori, caricandolo in modo da determinare un impatto violento della testa dello stesso sul parabrezza, sino a sbalzarlo definitivamente sul margine esterno della carreggiata, provocandogli la frattura della base cranica con spandimento emorragico subdurale e sub aracnoideo, con conseguente effetto secondario di arresto cardiaco.

L’intervento di rigetto della Cassazione

L’automobilista ritiene sia stata confusa la velocità salvifica, cioè quella che avrebbe evitato il sinistro stradale, con la regola cautelare, cioè la velocità prudenziale che era tenuto ad assumere nelle particolari condizioni contingenti in cui si è trovato.

Secondo la sua tesi, se l’individuazione della regola cautelare si esaurisse nell’individuazione della velocità salvifica, ogni sinistro sarebbe colposo, per il solo fatto di essersi consumato. Tale accertamento è solitamente utile nel caso in cui il conducente abbia cagionato il sinistro superando il limite di velocità prescritto sulla strada che stava percorrendo (regola cautelare rigida). In tal caso, infatti, l’individuazione della velocità salvifica serve a comprendere se la violazione della regola cautelare rigida (codificata esattamente nel precetto) sia in rapporto di causalità con il sinistro. Nel caso di regole cautelari elastiche nessun raffronto è però ancora possibile perché la condotta doverosa da porre in comparazione con la velocità salvifica non è stata codificata dal legislatore: spetterebbe allora al Giudice individuare, in base alle condizioni presenti al momento in cui il conducente percorreva la strada, quale fosse la velocità che lo stesso avrebbe dovuto prudenzialmente tenere.

La sentenza di secondo grado sarebbe errata laddove individua la velocità adeguata (“a passo d’uomo”) in quella che il conducente avrebbe dovuto tenere se avesse saputo della presenza del pedone che, però, è elemento che è stato appurato solo a posteriori, mentre era assente nello scenario visivo del conducente nel momento in cui egli impegna la strada.

La chiave di lettura prospettata dall’automobilista non viene considerata ammissibile

Innanzitutto le censure avanzate alla Cassazione ripropongono le medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito.

In secondo luogo, le motivazioni della decisione impugnata sono puntuali, coerenti, prive di discrasie logiche, e risulta chiaro l’iter logico-giuridico seguito.

Questa la ricostruzione dei fatti: il 24 dicembre 2013 il pedone stava percorrendo a piedi una strada di campagna di periferia, che all’ora del sinistro (17.45 circa) risultava già nell’oscurità, non essendovi illuminazione artificiale. Quella strada è molto stretta perché la carreggiata, pur essendo a doppio senso di circolazione, presentava una larghezza media di 3,45 metri e una lunghezza di circa 200 metri.

Sulla base della ricostruzione della dinamica del sinistro e dei fatti, anche alla luce della testimonianza oculare, i Giudici hanno vagliato le due prospettabili alternative, ravvisando in entrambe la violazione del comportamento doveroso prescritto, tenendo in considerazione la deposizione del teste oculare il quale si trovava nella stessa direzione di marcia dell’imputato e che, dalla sua postazione, ad una distanza tra 50 e 80 metri dal pedone, era in grado di vederlo.

Considerato che il sinistro è avvenuto in una condizione di oscurità, transitando in una stradina buia, sconnessa e stretta, l’imputato avrebbe dovuto mantenere una condotta di guida particolarmente cauta e, conseguentemente, a fronte di una profondità visiva modesta (peraltro agevolmente superabile accendendo gli abbaglianti), procedere a passo d’uomo e, se del caso, anche fermarsi laddove i fari non gli avessero consentito di marciare in condizioni di sicurezza e di percepire eventuali ostacoli sulla carreggiata.

Ergo, diversamente da quanto esposto dall’imputato – che incentra esclusivamente il proprio sforzo difensivo sulla “velocità di marcia”, trascurando la contestata disattenzione – la regola cautelare violata è stata correttamente individuata ex ante in entrambi i gradi di giudizio.

Obbligo di moderare adeguatamente la velocità, in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali

Sul punto la S.C. ribadisce che l’obbligo di moderare adeguatamente la velocità, in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo anche conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili.

Oltre a ciò i Giudici di appello hanno dato conto di ritenere del tutto condivisibile quanto evidenziato dal Consulente della pubblica accusa, che ha individuato la causa primaria del sinistro non tanto in una velocità eccessiva quanto in una carenza di attenzione alla guida che non aveva consentito di vagliare con attenzione la qualità della visibilità (anche accendendo gli abbaglianti per aumentare la profondità della visuale e rendere il pedone, senza dubbio, perfettamente avvistabile ad una distanza che avrebbe consentito l’arresto del mezzo in sicurezza) e, conseguentemente, di regolare la velocità in relazione allo stato dei luoghi e di intervenire, quindi, sulla posizione della vettura sulla carreggiata, correggendola adeguatamente e, dunque, ponendosi in condizione anche di evitare eventuali ostacoli, anche arrestando prontamente il mezzo.

In conclusione, la decisione di appello è correttamente formulata e il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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