Respinto il ricorso di una donna, investita alle spalle da un veicolo guidato da soggetto rimasto sconosciuto, che chiedeva una maggior personalizzazione del danno rispetto a quanto stabilito dal Giudice di prime cure

Aveva convenuto in giudizio la società assicuratrice designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti per essere stata investita alle spalle da parte di un’auto guidata da soggetto rimasto sconosciuto.

Il Tribunale – sulla base delle tre CTU e di altre risultanze acquisite – aveva accertato la responsabilità esclusiva del conducente dell’auto investitrice liquidando il danno non patrimoniale nella somma complessiva di € 220.000,00 per una invalidità permanente del 35% (contro una prima valutazione del 56% accertata dal primo CTU), oltre € 9.592,00 per invalidità temporanea ed € 1.000,00 per spese sostenute e documentate a carico della compagnia convenuta, sulla base delle tabelle di Milano; quanto al danno patrimoniale, sulla base della CTU acquisita aveva escluso che la capacità lavorativa specifica e le attività extralavorative in genere fossero state pregiudicate in misura eccedente rispetto a quanto accertato in termini di danno biologico.

La Corte d’Appello aveva confermato la decisione di prime cure, ritenendo non provati i dedotti postumi permanenti idonei – ad avviso dell’appellante – ad integrare sia una maggiore percentuale di invalidità permanente rispetto a quella riconosciuta, sia una diversa consistenza del pregiudizio in concreto subito (danno biologico e morale), nonché una perdita della capacità lavorativa generica e specifica (sindrome post traumatica da stress, complicazioni epilettiche, difficoltà respiratorie); in particolare, aveva rigettato la maggiore pretesa di procedere a una ulteriore personalizzazione del danno biologico, ritenendo la liquidazione proporzionata all’accertato ridimensionamento delle lesioni e al danno subito, per come indicato dal CTU .

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, la ricorrente deduceva che il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente ritenuto che l’atto di appello si risolvesse nella sola contestazione della prevalenza data dal Tribunale alla seconda ctu, anziché alla prima più favorevole all’appellante. Invero, il gravame della danneggiata non sarebbe stato limitato alla pur censurata difformità tra le valutazioni peritali, estendendosi anche all’omessa corretta liquidazione di tutte le voci di danno non patrimoniale allegate. Il giudice di prime cure avrebbe personalizzato il danno non patrimoniale con aumento percentuale del 10% e ricondotto tale valutazione al danno morale, là dove la personalizzazione in misura tabellare sino al 30% avrebbe dovuto essere effettuata in relazione alla componente dinamico-relazionale delle lesioni subite. Tali componenti del danno non patrimoniale, data la natura omnicomprensiva, avrebbero dovuto essere accertate e risarcite integralmente.

Gli Ermellini, tuttavia, con l’ordinanza n. 34793/2021, hanno ritenuto di non aderire alle doglianze proposte.

La Corte d’Appello aveva dato atto che l’appellante, con un unico motivo diversamente articolato, aveva contestato la misura del risarcimento, dolendosi che a fronte di una invalidità permanente quantificata dal primo perito nella misura del 56%, il giudice di prime cure aveva inteso adeguarsi alla minor percentuale del 35% indicata dal secondo perito. In merito, aveva ritenuto corretta la valutazione del danno alla persona effettuata dal giudice sulla base della seconda perizia acquisita, e comunque non provati gli ulteriori postumi permanenti dedotti a titolo di incapacità lavorativa generica o specifica, e in particolare: una sindrome post-traumatica da stress, una epilessia sintomatica post-traumatica ed una difficoltà respiratoria tale da incidere su una altrettanto non provata attività di cantante dell’attrice. Quanto alle voci di danno liquidate dal giudice di primo grado, le aveva ritenute correttamente valutate in quanto proporzionate all’accertato ridimensionamento delle lesioni in sede peritale e alla invalidità permanente in concreto riscontrata.

La ricorrente lamentava che si sarebbe potuto pervenire ad un aumento fino al 30% del valore tabellare considerato ai fini della liquidazione del danno alla persona, a titolo di personalizzazione del danno biologico, anziché del 10% riconosciuto a titolo di danno morale, essendo stato trascurato l’ulteriore aspetto dinamico-relazionale delle lesioni, che avrebbe consentito di pervenire a un risarcimento integrale “in senso ontologico e costituzionalmente orientato”.

Il motivo era inammissibile ex art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. poiché la questione prospettata non emergeva dagli argomenti specificamente utilizzati dal giudice nella sentenza impugnata; per rendere scrutinabile il motivo, la ricorrente avrebbe invece dovuto riportare, almeno succintamente, il contenuto dell’atto di appello e della specifica censura, anche solo per permettere alla Cassazione di verificarne la sua effettiva proposizione e il grado di esaustività della risposta giudiziale.

Al di là delle lacune del ricorso, nel caso di specie, il motivo pativa un ulteriore difetto di autosufficienza sotto il profilo della deduzione specifica dei motivi in concordanza con quanto previsto ex art. 366 n. 4 cod.proc. civ., non chiarendo quali sarebbero state le conseguenze anomale dell’incidente, dedotte nel caso concreto e non attentamente valutate, che avrebbero giustificato una personalizzazione più accentuata di quella riconosciuta dai giudici del merito, nonché l’incremento ulteriore, rispetto a quanto già riconosciuto a titolo di danno morale, che avrebbe dovuto subire la voce tabellare.

Il danno biologico, rappresentato dall’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, è un pregiudizio ontologicamente diverso dal cd. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del Suo diritto alla salute; il danno biologico, ordinariamente liquidato con il metodo cd. tabellare in relazione a un “barème” medico legale che esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione presumibilmente riverbera sulle attività comuni alla persona, può essere incrementato in via dì “personalizzazione” in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate e provate dal danneggiato, le quali rendano il danno subìto più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da lesioni personali dello stesso grado sofferte da persone della stessa età e condizione di salute.

Sul punto, la Suprema Corte ha confermato che, in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del “danno biologico” e del “danno dinamico-relazionale”, atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale). Non costituisce, invece, duplicazione la congiunta attribuzione del “danno biologico” e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il danno morale che si traduce nel dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.

Nel caso concreto, la ricorrente nulla aveva dedotto in merito a questa bipartizione ontologica operata dal giudice del merito ai fini del risarcimento e alla liquidazione effettuata sulla base della incidenza in concreto delle lesioni sul piano della vita di relazione, essendosi la ricorrente riportata, in astratto, a principi di diritto sul carattere unitario e integrale del risarcimento del danno alla persona e sulla cd personalizzazione del danno (che riguarda essenzialmente l’incidenza del danno sulla vita di relazione) che non assumevano rilievo con riferimento alla fattispecie in esame, in cui il danno biologico, distinto da quello morale – valutato sulla base delle tabelle di Milano allora vigenti – era stato liquidato in base alle prove acquisite e in proporzione alle lesioni effettivamente subite.

La redazione giuridica

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