Accolto il ricorso dei genitori di una ragazza investita mentre attraversava la strada da un’automobile che viaggiava al di sopra dei limiti consentiti

Con l’ordinanza n. 21122/2021 la Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso dei genitori di una ragazza all’età di quindici anni, aveva subito gravi lesioni personali, dopo essere stata investita mentre attraversava la strada in zona adiacente a un centro abitato. Gli attori, ritenendo responsabile dell’incidente il conducente del veicolo investitore – il quale, procedendo ad elevata velocità, in orario notturno, lungo un tratto stradale privo di attraversamenti pedonali e con scarsa illuminazione, avrebbe travolto la figlia minore – lo citavano in giudizio, insieme con la sua società assicuratrice perla r.c.a., chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni: quelli riportati dalla figlia e quelli riportati in proprio.

La Corte d’Appello di Roma, in riforma della decisione del Giudice di prime cure, rigettava la pretesa risarcitoria ritenendo che l’impugnazione si fondasse sull’assunto dell’erroneità della sentenza di primo grado in ordine al mancato superamento del limite di velocità di 90 km orari da parte dell’automobilista: errore che si intendeva dimostrare attraverso la produzione di un documento nuovo, comprovante il diverso limite di velocità di 50 km orari vigente all’epoca dei fatti sul tratto stradale teatro dell’incidente.

La Corte territoriale rilevava che non era stata impugnata l’autonoma ratio decidendi, secondo cui l’urto sarebbe stato inevitabile anche ove il conducente avesse proceduto alla velocità di 45 chilometri all’ora, “come parimenti accertato dal consulente d’ufficio, e ciò in ragione del carattere improvviso e rapido dell’attraversamento stradale posto in essere” dalla ragazza, come tale imprevedibile. Pertanto, in applicazione del principio secondo cui ove la sentenza assoggetta ad impugnazione sia fondata su due diverse rationes decidendi la impugnazione rivolta soltanto contro una di esse è inidonea ad impedire il passaggio in giudicato della decisione quanto alla ratio non impugnata, dichiarava inammissibile l’appello.

Nel rivolgersi alla Cassazione i ricorrenti deducevano che il Giudice a quo non avesse dato conto del ragionamento fatto per affermare che la sentenza di prime cure si basasse su due rationes decidendi, essendosi limitata a prendere atto che il Tribunale aveva, per un verso, accertato che il conducente dell’autovettura, mantenendo una velocità di 72 km/h, non aveva superato il limite di velocità di 90 km/h, e poi ritenuto non causalmente imputabile al medesimo l’investimento della danneggiata, la quale aveva attraversato la strada improvvisamente e rapidamente, attuando una condotta imprevedibile, così che l’incidente sarebbe stato inevitabile anche se il conducente avesse proceduto alla velocità di 45 km.

Oltre ad avere reso una motivazione apparente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente individuato due autonome rationes decidendi, perché, invece, il ragionamento del Tribunale sarebbe stato unico, non costituendo l’affermazione – del tutto ipotetica ed astratta e senza alcuna valenza decisionale circa il fatto che l’incidente si sarebbe verificato anche se il conducente avesse tenuto una velocità di 45 km/h – una ragione giustificativa autonoma in grado di sorreggere la statuizione sulla assenza di responsabilità dell’automobilista.

A detta degli attori, se il giudice avesse voluto formulare una ratio decidendi ulteriore, avrebbe dovuto dire che, se anche fosse stato accertato che il limite di velocità era di 50 km/h, il conducente del veicolo che viaggiava in effetti a 72 km/h, quindi violando le norme del Codice della Strada, non sarebbe stato comunque responsabile in virtù della sola condotta osservata dalla vittima. Del resto, il comportamento colposo del pedone acquista rilievo solo nel caso in cui il conducente dell’auto assuma un comportamento rispettoso delle norme del Codice della strada e di quelle di comune prudenza e diligenza, di tal ché l’accertamento del comportamento del conducente dell’auto assume carattere pregiudiziale ed assorbente rispetto ad ogni ulteriore indagine sul comportamento tenuto dal pedone.

Gli Ermellini hanno ritenuto la doglianza meritevole di accoglimento.

“Mette conto di rilevare – hanno evidenziato dal Palazaccio – che, se effettivamente la sentenza di primo grado si fosse basata sulla ricorrenza di due autonome rationes decidendi, come ha ritenuto la Corte d’Appello, si tratterebbe di un’ipotesi che non potrebbe essere verificata da questa Corte: infatti, ciò che della sentenza di prime cure viene riprodotto nel ricorso non è sufficiente a tale scopo. Non solo sarebbe stato necessario esaminare la sentenza di prime cure al di là di quanto riprodotto, che, di per sé non sarebbe sufficiente a sorreggere l’assunto dell’inesistenza dell’esistenza delle due autonome rationes, ma, inoltre, detta sentenza, in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c., non è stata localizzata dai ricorrenti in questo giudizio di legittimità, non essendosi indicata se e dove sarebbe stata esaminabile, in quanto prodotta. In realtà, tuttavia, la pretesa ipotetica seconda ragione giustificativa autonoma ravvisata dalla corte territoriale, cioè quella secondo cui l’incidente si sarebbe verificato comunque, anche se il conducente dell’auto investitrice avesse proceduto alla velocità di 45 km/h, risulta – al contrario di quanto sostenuto, peraltro con motivazione del tutto stringata ed ermetica dalla sentenza impugnata – censurata in base al contenuto dell’atto di appello. Sicché, il motivo è fondato sotto tale profilo”.

Invero, con l’atto di appello gli appellanti hanno inteso sostenere: a) che il limite di velocità sul tratto di strada ove era avvenuto l’incidente era di 50 km orari, e non di 90 km orari come affermato dal Tribunale; b) che indipendentemente dal limite di velocità il conducente non aveva adeguato la condotta di guida allo stato dei luoghi; c) che, quindi, in applicazione del comma 1 dell’art.2054 c.c., l’automobilista era da ritenersi responsabile dell’incidente.

Stante il tenore dell’appello, era dunque palese che la Corte territoriale fosse incorsa in errore nel ritenere inammissibile l’appello, perché gli appellanti non avevano censurato entrambe le due ipotetiche rationes decidendi su cui si era basata la decisione del giudice di prime cure. Infatti, quanto dedotto con l’appello era pienamente idoneo a criticare anche quella che la corte romana aveva indicato come ratio decidendi non censurata. Da li la decisione di cassare la pronuncia con rinvio al Collegio distrettuale che” considererà criticata con l’appello, giusta il suo ricordato contenuto, anche l’affermazione del primo giudice che ‘del pari l’urto sarebbe stato inevitabile anche ove il conducente avesse proceduto alla velocità di 45 chilometri all’ora, come partimenti accertato dal consulente d’ufficio, e ciò in ragione del carattere improvviso e rapido dell’attraversamento stradale posto in essere dalla ricorrente, come tale imprevedibile”.

Il giudice di rinvio, stante le regole giuridiche applicabili al caso di specie, dovrà sindacare quell’affermazione in base al contenuto dell’appello e facendo applicazione dell’art. 2054, comma 1, c.c., provvedendo a valutare se la condotta di guida tenuta fosse adeguata anche alle specifiche caratteristiche dei luoghi in relazione alla collocazione temporale del sinistro. “La sola constatazione che il sinistro si sarebbe verificato anche se la velocità fosse stata di 45 km/h – hanno concluso i Giudici di Piazza Cavour – non potrà essere considerata di per sé idonea ad escludere la responsabilità, sia perché la velocità era stata, a quel che si sostiene dai ricorrenti senza contestazione da parte della controparte pari a 72 km/h, sia comunque – cioè anche qualora tale assunto non fosse vero (ma non senza che in tal caso non debba rilevare il dato che i danni necessariamente sarebbero stati minori se provocati ad una velocità più bassa) – senza provvedere alla valutazione dell’adeguatezza di cui si è detto”.

La redazione giuridica

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