Con la sentenza n. 273 depositata il 15 novembre 2016, la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Calabria ha affrontato il tema delle responsabilità a carico del medico come fonte di danno erariale.
La Procura regionale ha chiamato in giudizio due medici per sentirli condannare, a favore dell’Asp di Catanzaro, al risarcimento del danno di Euro 168.000,00 corrispondente a quanto da quest’ultima liquidato in sede transattiva a favore di una paziente, per i danni asseritamente causati dalla negligente condotta sanitaria, in termini di aggravamento del decorso patologico esitato in un grado di invalidità maggiore di quello che sarebbe residuato se le cure fossero state corrette (“emisindrome deficitiaria facio brachiale crurale sx secondaria a dissecazione carotidea”).
In particolare ai medici, che, a vario titolo, hanno prestato le cure alla paziente de qua, è stata contestata:
1) la tardività della corretta diagnosi, posto che il servizio di pronto soccorso ha disposto il ricovero presso l’U.O. di Medicina Interna diagnosticando una cerebropatia vascolare acuta e solo il giorno successivo la Stroke Unit del Presidio ospedaliero di Vibo Valentia poneva la corretta diagnosi di “trombosi cerebrale con infarto cerebrale”;
2) il tardivo trasferimento presso l’ospedale di Vibo Valentia ove esisteva una specifica unità operativa, tenendo conto che al momento della visita presso il pronto soccorso e del ricovero nell’u.o. di medicina non erano ancora trascorse le tre ore dalla prima manifestazione dell’insulto ischemico;
3) la non adeguatezza della terapia (mannitolo) praticata nel reparto di medicina interna, tra l’altro in assenza di precise indicazioni terapeutiche.
Secondo la Procura regionale il comportamento dei sanitari, convenuti, si sarebbe concretato in gravi violazioni degli obblighi di servizio quali risultanti delle linee guida nazionali e dei protocolli per la cura degli ictus.
Ebbene, la contestazione erariale mossa ruota intorno alla condotta che i medici avrebbero tenuto in occasione del ricovero della sig.ra G.N. presso il pronto Soccorso e il reparto di Medicina generale dell’ospedale di Lamezia Terme.
In particolare, secondo il requirente, i medici avrebbero seguito un “iter diagnostico incompleto e poco tempestivo nell’esecuzione dei vari accertamenti” e sarebbero altresì incorsi in “inerzia terapeutica constatata nella mancata formulazione di una corretta diagnosi e dal mancato intervento terapeutico con farmaci specifici”, poiché alla diagnosi non fecero seguito gli approfondimenti strumentali che la gravità del caso richiedeva e che avrebbero consentito di accertare una “trombosi cerebrale con infarto cerebrale” in atto.
La corretta diagnosi fu, infatti, effettuata solo il giorno dopo, e non dai medici lametini ma dalla Stroke Unit del presidio ospedaliero di Vibo Valentia ove la paziente fu avviata la mattina seguente al suo ricovero.
Da qui il “mancato intervento terapeutico” contestato dal Procuratore regionale agli odierni convenuti.
Per la valutazione delle singole condotte e delle relative responsabilità, la Sezione ha acquisito la consulenza dell’Ufficio Medico legale presso il Ministero della Salute, il cui è operato è stato contestato dalle difese al punto da configurarne la nullità per la inidoneità della consulenza medesima di dare adeguata risposta ai quesiti posti dal giudice.
La Corte dei Conti ha ritenuto che per nessuno degli odierni convenuti ricorrano le condizioni di legge per l’irrogazione di una condanna erariale, osservando che il punto nodale dell’intera causa petendi e della conseguente responsabilità sia costituito dal mancato invio della paziente alla Stroke Unit di Vibo Valentia entro le tre ore dal manifestarsi della patologia, e quindi dell’intempestiva attuazione del protocollo terapico previsto per il caso di insulto ischemico.
La Corte dei Conti osserva che in base al consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo cui, per l’accertamento del rapporto eziologico tra il comportamento del medico e il danno, pur non occorrendo alcuna consequenzialità necessaria, è però necessario intravvedere quantomeno un rapporto di mera probabilità scientifica, per cui il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno si configuri come conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne sia la conseguenza altamente probabile e verosimile (Cass. SSUU n. 576/2008, Cass. n. 975/2009, Cass. n. 16123/2010, Cass. n. 6275/2012), probabilità e verosimiglianza sicuramente da escludere nel caso de quo anche in considerazione del fatto che, in aggiunta a quanto già osservato sull’intervallo temporale accumulatosi tra l’insorgenza della malattia e il momento in cui la T. ha assunto servizio, nel reparto di medicina generale la paziente era stata presa in cura già dal dott. B. e, ancor prima, era stata visitata dallo specialista neurologo.
Una differente valutazione merita invece l’operato della dott.ssa L.C., in servizio al pronto Soccorso dell’ospedale lametino nel momento in cui la paziente è stata ricoverata e che ha prestato le prime cure sin dalle ore 16, 47 dell’11 marzo 2007 e, conseguentemente, nei suoi confronti ben può configurarsi il nesso di causalità nei termini dianzi spiegati.
Per la Corte occorre verificare l’elemento soggettivo della colpa grave per come asserito nel libello erariale e puntualizza che la colpa grave del sanitario è rinvenibile nell’errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nella mancanza di prudenza o di diligenza che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria (cfr. Cassazione penale sez. IV 04 novembre 2014 n. 49707), e volendo rifarsi alla condivisibile giurisprudenza di merito della stessa Corte, è giusto osservare che “la condotta può essere valutata come gravemente colposa allorché il comportamento sia stato del tutto anomalo ed inadeguato, tale, cioè, da costituire una devianza macroscopica dai canoni di diligenza e perizia tecnica e da collocarsi in posizione di sostanziale estraneità rispetto al più elementare modello di attività volta alla realizzazione degli interessi cui gli operatori pubblici sono preposti. Insomma per configurare ipotesi di responsabilità a carico del medico, non basta che il comportamento sia stato riprovevole in quanto non rispondente perfettamente alle regole della scienza e dell’esperienza, ma è necessario che il medico, usando la dovuta diligenza, abbia potuto prevedere e prevenire l’evento verificatosi; perché, quindi, possa parlarsi di responsabilità per colpa grave si deve accertare che si siano verificati errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione ovvero il difetto di quel minimo di perizia tecnica che non deve mai mancare in chi esercita la professione sanitaria e, comunque, ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari affidati alle cure di prestatori d’opera” (Sezione III d’Appello, sent. n. 602/2004).
Alla luce di quanto sopra esposto secondo il Collegio la condotta della C. non si può ritenere inficiata da colpa grave, convenendo con l’Ufficio Medico legale sul fatto che il sanitario del pronto soccorso avesse la “competenza adeguata” “al fine di predisporre con urgenza la effettuazione delle indagini” necessarie al caso e già alle ore 16,51 la C. aveva disposto per la TAC della paziente e aveva richiesto la consulenza specialistica neurologica, consulenza che ebbe luogo alle ore 17,27.
Ebbene da tale sequenza comportamentale, secondo la Corte dei Conti, è ragionevole dedurre un approccio del sanitario tanto prudente, quanto tempestivo e adeguato alla sintomatologia in atto.
Per ciò che attiene la posizione del dott. B.M. in servizio nel reparto di medicina generale nel momento in cui la paziente entrò alle ore 18,30 dell’11 marzo 2007, la Corte dei Conti osserva che la paziente è stata dimessa dal pronto soccorso alle ore 17,47, per cui il suo ricovero in reparto è avvenuto quasi un’ora dopo.
Di questo intervallo temporale non si rinviene alcuna spiegazione nei documenti di causa e tuttavia, nella sua oggettività, non vi è dubbio che abbia finito per incidere sul ritardo complessivamente accumulatosi in danno della paziente.
Posto che, dunque, il sanitario ha effettuato la prima visita solo alle 18,30, il Collegio, nel richiamare quanto in precedenza osservato riguardo all’elemento soggettivo della colpa grave, ritiene di poterla escludere anche per la condotta del B..
Precisa, infatti, che all’UML era stato chiesto di chiarire se la valutazione circa la necessità di ricorrere alla terapia trombolitica spettasse ai sanitari di medicina generale (più che al medico del pronto soccorso) oppure al neurologo, e si è visto come il consulente abbia in concreto omesso di rispondere, pervenendo anzi alla conclusione che il fatto di avere, il neurologo di turno, diagnosticato una “sospetta cerebropatia cerebrale acuta”, fosse ex se sufficiente per corroborare la generale competenza dei medici intervenuti sulla paziente, quindi non solo del sanitario del pronto soccorso ma anche di quello in servizio nel reparto di medicina generale, riguardo al quale, secondo l’UML, varrebbero le “stesse considerazioni” .
Ebbene, a proposito della dott.ssa in servizio al Pronto Soccorso, si è visto, però, come a proposito della C. il Collegio abbia opinato discostandosi radicalmente dalla conclusione dell’UML, per cui non può che coerentemente pervenire alle stesse conclusioni anche per ciò che riguarda il B..
In riferimento al cui operato va pure precisato che l’UML ha sì ritenuto “che la precoce adozione della terapia eparinica avrebbe potuto ridurre gli esiti della lesione cerebrovascolare”, ma senza però fornire la benché minima indicazione sulla misura oraria di tale “precoce” terapia, e sì che una puntualizzazione al riguardo sarebbe stata vieppiù basilare quanto più si consideri che la terapia specifica per l’ictus ischemico descritta tanto nelle raccomandazioni 10.2 e 10.3 tratte da SPREAD del 16 febbraio 2007 e da SPREAD del 14 marzo 2012, incontestabilmente collocano l’efficacia del protocollo terapico in una fascia oraria che non deve eccedere le 4.5 ore dall’insorgenza della sintomatologia, sintomi che, come più volte detto per il caso di specie, sono insorti in orario immediatamente post-prandiale e di cui il B. ha potuto rilevarne la collocazione oraria in esito alla raccolta di dati anamnestici dallo stesso effettuata alle ore 18,30.
In base a tanto la Corte dei Conti afferma che la condotta del convenuto, al pari di quanto osservato per la C., non risulta connotata da omissioni, ritardi o anche erronee valutazioni inficiate da un grado di negligenza ascrivibile a colpa grave.
Sulla base delle su esposte considerazioni la Corte dei Conti ha respinto l’atto di citazione, mandando assolti, per l’effetto, i medici coinvolti nella vicenda.

Avv. Maria Teresa De Luca

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