Se la sentenza nulla statuisce sulle spese di C.T.U. è affetta da vizio anche se tali spese sono state liquidate con decreto in corso di causa

“E’ affetta dal vizio di omessa pronuncia la sentenza d’appello che, accogliendo il gravame e accollando le spese di lite alla parte soccombente, taccia sulla sorte delle spese della consulenza tecnica d’ufficio eseguita nel primo grado di giudizio, a nulla rilevando che tali spese abbiano già formato oggetto di liquidazione con decreto motivato, ex art. 168 d.p.r. 115/02”.

In tali termini si è pronunciata la Corte di Cassazione nell’interessante provvedimento qui analizzato (Cass. civ., Ordinanza n. 10804 del 5 giugno 2020)

La vicenda trae origine dall’occupazione sine titolo di un alloggio di un ex socio, poi radiato dalla società.

Per quanto qui d’interesse la causa veniva istruita in primo grado attraverso C.T.U. che quantificava un importo residuo in capo alla società cooperativa di € 8.749,86.

Tali statuizioni venivano confermate in Appello.

La sentenza viene impugnata in Cassazione dai soci soccombenti, mentre la Cooperativa propone ricorso incidentale.

La Corte rigetta tutti i motivi di ricorso dei soci.

Il ricorso incidentale della Cooperativa, invece, viene ritenuto fondato.

In   primo luogo viene contestato il mancato riconoscimento del danno da occupazione di immobile senza titolo, motivato con la mancata prova del danno. Afferma la cooperativa che tale prova si sarebbe potuta desumere ai sensi dell’art. 2727 c.c., secondo cui «Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato».

Per la Corte il motivo è fondato per violazione dell’art. 1223 c.c., a mente del quale «Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta».

Ricordano i Giudici che qualora sia lamentato un mancato guadagno dovuto all’inadempimento o al fatto illecito che ha comportato la mancata disponibilità dell’immobile, la Corte di Cassazione ha già affermato, il danno può presumersi ai sensi dell’art. 2727 c.c. «anche dal fatto noto che l’immobile del quale il danneggiato non ha potuto disporre avesse una vocazione commerciale o comunque ad un impiego remunerativo».

In secondo luogo viene lamentata la mancata liquidazione nella sentenza di appello delle spese dovute al CTU.

In primo grado tali spese erano state poste provvisoriamente a carico delle parti in solido ed in secondo grado la sentenza, pur condannando i convenuti al pagamento delle spese di lite, non aveva disposto nulla circa le spese della Consulenza Tecnica. Per la cooperativa, tale omissione mantiene in vita la statuizione del primo grado, addossandole così parte delle spese di lite, con conseguente violazione dell’art. 91 c.p.c., oltre che dell’art. 112 c.p.c.

La Suprema Corte ritiene il motivo di doglianza fondato in quanto mancante la statuizione sulle spese della C.T.U.

Tale omissione non può essere sanata in via interpretativa.

Non è possibile, evidenziano gli Ermellini, concludere né per la conferma della statuizione di primo grado, che addossava le spese di CTU in solido a tutte le parti, né per la (implicita) condanna ai soccombenti, né per la condanna alla parte vittoriosa.

Le spese di Consulenza Tecnica, al pari di tutte le altre del processo, pongono tre aspetti problematici: quello dell’anticipazione, quello della liquidazione e quello della ripartizione tra le parti in causa.

La liquidazione è contenuta in un decreto motivato, comunicato alle parti e al CTU (ex art. 168 d.P.R. n. 115/2002) e opponibile (ex art. 170 d.P.R. n. 115/2002).

Sia nel provvedimento con cui dispone l’anticipazione delle spese che nel provvedimento con cui dispone la liquidazione definitiva delle stesse, il Giudice può indicare quale delle parti sia tenuta.

Tale statuizione, tuttavia, non è da confondersi con quella con cui si liquidano le spese processuali ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c, ed ha l’unico fine di consentire al CTU di disporre di un titolo esecutivo nei confronti della parte obbligata, ma il CTU «ha il diritto di pretendere il compenso da qualunque delle parti in causa».

Il CTU potrà così rivolgersi anche alla parte non individuata dal Giudice e questa dovrà pagare, salvo poi rivalersi mediante azione di regresso ex art. 1299 c.c. Ciò, in quanto il principio della soccombenza «opera solo nei rapporti con le parti e non nei confronti dell’ausiliario.

Pertanto, la liquidazione delle spese del CTU va fatta con decreto motivato, modificabile solo dal tribunale, su opposizione, e non con sentenza, ma ad ogni modo, il Giudice nella sentenza dovrà in ogni caso provvedere ex novo su tale punto: addossandole al soccombente, o anche (ove vi siano i presupposti) compensandole.

Ne deriva che il silenzio della sentenza sulle spese del CTU non può mai considerarsi “un silenzio concludente” e la regolazione delle spese deve essere “esplicita o almeno inequivoca e il mero silenzio sulle spese di Consulenza non può dirsi inequivoco”.

La suprema Corte cassa con rinvio alla Corte di Appello in diversa composizione per colmare la lacuna attenendosi ai principi enunciati.

Avv. Emanuela Foligno

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