Nel caso in cui il bene oggetto di preliminare di vendita provenga da donazione, il promissario acquirente, ignaro di tale provenienza può rifiutare la stipula del contratto definitivo, avvalendosi del rimedio generale dell’art. 1460 c.c.
La vicenda
L’attore esponeva di aver stipulato un contratto preliminare per l’acquisto di un capannone a uso artigianale e di aver versato a titolo di caparra, la somma di 50.000,00 euro. In seguito apprendeva che il bene oggetto della promessa era pervenuto alla promittente da donazione dei genitori, il che avrebbe esposto quest’ultima al rischio di riduzione da parte dei legittimari dei donanti. Chiedeva pertanto l’annullamento del contratto, con la condanna della convenuta a restituire il doppio della caparra, dal momento che se avesse saputo di tale provenienza non avrebbe stipulato il contratto, essendosi determinato all’acquisto con finalità speculative.
In primo grado l’adito tribunale rigettava la domanda e la sentenza veniva confermata in appello. La vicenda è giunta dinanzi alla Seconda Civile della Cassazione (sentenza n. 32694/2019).
Il giudizio di legittimità
«È innegabile – hanno affermato gli Ermellini – che la provenienza da donazione porta con sé la possibilità che questa possa essere attaccata in futuro dai legittimari del donante, i quali, una volta ottenutane la riduzione, potrebbero pretendere la restituzione del bene donato anche nei confronti dei terzi acquirenti (art. 5 c.c.). Allo stesso tempo, è altrettanto innegabile che la teorica instabilità insita nella provenienza non determina per sé stessa un rischio concreto e attuale che l’acquirente del donatario si veda privato dell’acquisto».
Nella specie i giudici della Suprema Corte hanno affermato che “in presenza di un concreto e attuale pericolo di rivendica, inteso nel senso sopra delineato, il promissario, al quale sia stata taciuta la provenienza da donazione, sarà certamente abilitato a rifiutare la stipula del contratto definitivo. Nello stesso tempo, però, tale conclusione non può voler dire a contrario che, fino a quando quel pericolo non sia configurabile, la provenienza da donazione sia circostanza irrilevante sulle condizioni di acquisto, tale da poter essere impunentemente taciuta dal promittente venditore, rimanendo il promissario, ignaro della provenienza, invariabilmente obbligato all’acquisto.
In materia di mediazione, la giurisprudenza ha già chiarito che “la provenienza da donazione dell’immobile promesso in vendita «costituisce circostanza relativa alla valutazione e alla sicurezza dell’affare rientrante nel novero delle circostanza influenti sulla conclusione di esso, che il mediatore deve riferire ex art. 1759 c.c. alle parti» (Cass. n. 965/2019). A tale principio la Corte ha inteso dare continuità.
Il principio di diritto
In quest’ottica la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio della causa al giudice di merito che dovrà valutare la legittimità del rifiuto del promissario in applicazione del seguente principio di diritto:
«In materia di preliminare di vendita, la provenienza del bene da donazione, anche se non comporta per sé stessa un pericolo concreto e attuale di perdita del bene, tale da abilitare il promissario ed avvalersi del rimedio dell’art. 1481 c.c., è comunque circostanza influente sulla sicurezza, la stabilità e le potenzialità dell’acquisto programmato con il venditore, pena la possibilità che il promissario acquirente, ignaro della provenienza, possa rifiutare la stipula del contratto definitivo, avvalendosi del rimedio generale dell’art. 1460 c.c., se ne ricorrono gli estremi».
La redazione giuridica
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