Per i danni cagionati alla società dall’omesso adempimento degli oneri tributari e contributivi, l’amministratore ora dovrà corrispondere il 30% del complessivo credito di Equitalia iscritto al passivo

La vicenda

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Bologna, accoglieva l’azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento di una società, condannando l’amministratore a pagare, a titolo di risarcimento del danno, la somma di 327.895,03 euro oltre rivalutazione e interessi.

La Corte d’appello di Bologna, confermava la decisione, respingendo il gravame interposto dal soccombente.

Ed invero, nel corso del giudizio era emerso che:

  • L’omessa tenuta della contabilità e l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali per gli esercizi del 2004 al 2007 era un fatto pacifico, documentalmente provato;
  • Era incontestabile che almeno le sanzioni irrogate per l’omesso versamento dei tributi e dei contributi previdenziali fossero un danno causalmente ricollegabile alla condotta del predetto amministratore in modo immediato e diretto.

Per tali fatti, il Tribunale aveva quantificato il danno da questi cagionato nella misura di 327.895,03 euro facendo richiamo all’equità, ossia applicando la percentuale del 30% al complessivo credito di Equitalia iscritto al passivo.

La determinazione equitativa è stata condivisa dai giudici dell’appello, sia perché non specificamente contestata, sia perché corrispondente al maggior importo che, mediamente e notoriamente, deriva a carico dell’imprenditore per l’omissione degli adempimenti tributari e contributivi.

Contro la decisione della corte d’appello di Bologna, l’amministratore ha proposto ricorso per cassazione.

Tra gli altri motivi, il ricorrente ha dedotto la violazione della legge con riferimento agli artt. 2392/2394 e 2697 c.c., nonché dell’art. 146 L. fallimentare, non potendosi riconoscere – a sua detta – la responsabilità dell’amministratore, in ambito fallimentare sulla sola base dell’omessa od erronea tenuta dei bilanci o della contabilità ovvero della differenza tra attivo e passivo fallimentare.

Nel dichiarare il motivo inammissibile, la Corte di Cassazione (Terza Sezione Civile, sentenza n. 27610/2019) ha menzionato il principio di diritto costantemente affermato dalla giurisprudenza secondo cui “la totale mancanza di contabilità sociale (o la sua tenuta in modo sommario e non intellegibile) è di per sé, giustificativa della condanna dell’amministratore al risarcimento del danno, in sede di azione di responsabilità promossa dalla società a norma dell’art. 2392 c.c., vertendosi in tema di violazione da parte dell’amministratore medesimo di specifici obblighi di legge, idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale. Al di fuori di tale ipotesi che giustifica l’inversione dell’onere della prova, resta a carico del curatore l’onere di provare il rapporto di causalità tra la condotta illecita degli amministratori e il pregiudizio per il patrimonio sociale” (Cass. n. 7606/2011; n. 5876/2011).

La redazione giuridica

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