Legge 104, il datore di lavoro non può sindacare il momento dell’assistenza

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Il datore di lavoro non può sindacare il momento della giornata in cui il lavoratore presta assistenza al parente ai sensi della Legge 104.
La Corte di Cassazione chiarisce quali siano le modalità di fruizione dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, Legge n. 104/1992 (Cass. civ., sez. lav., 11 ottobre 2024, n. 26514).

Il fatto

Il dipendente di un supermercato si rivolge al Tribunale di Palermo per il licenziamento subìto in seguito alla verifica del datore di lavoro, il quale gli contestava che in 3 giornate del mese di aprile i permessi retribuiti richiesti per l’assistenza alla madre invalida non erano stati correttamente fruiti nel turno orario 8.00 -14.30.

Nella fase sommaria e nel primo grado di merito, il Tribunale di Palermo accoglieva la domanda del dipendente disponendone la reintegrazione e il risarcimento del danno, la Corte d’Appello, invece, rigettava la domanda.

In particolare, la Corte siciliana, riformando la sentenza, riteneva sussistente abuso del diritto la mancata assistenza di cui alla Legge 104 alla parente espletata nell’orario di lavoro concordato, rigettando la tesi difensiva del lavoratore secondo cui “l’assistenza al parente disabile non deve avvenire necessariamente nella fascia oraria del turno, ma deve essere estesa all’intera giornata di permesso”.

Avverso tale decisione, il lavoratore presentava ricorso e la Corte di Cassazione gli dà ragione.

L’intervento della Cassazione

Innanzitutto gli Ermellini chiariscono che ciò che rileva in tali situazioni è l’esistenza di un diretto nesso causale tra la fruizione del permesso e l’assistenza alla persona disabile. Inoltre sottolineano che tale nesso di causalità va inteso in senso ampio, senza automatismi o rigidi calcoli sui segmenti temporali dedicati all’assistenza in relazione all’orario di lavoro.

L’assistenza, posta alla base della Legge 104, non deve essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività che il soggetto non sia in condizioni di compiere autonomamente. L’abuso quindi va a configurarsi solo quando il lavoratore utilizzi i permessi per fini diversi dall’assistenza.

L’interesse primario cui è preposta la Legge n.104/1992 è quello di assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza al disabile che si realizzano in ambito familiare, attraverso una serie di benefici a favore delle persone che se ne prendono cura.

La Corte di appello non si è attenuta a tali principi.

I permessi della Legge 104 sono giornalieri su base mensile

I Giudici si sono concentrati sulla verifica della mancata assistenza durante i turni di lavoro, sulla base delle evidenze derivanti dalla relazione investigativa, senza tenere conto, da un lato, del fatto che tali turni non erano conosciuti dal lavoratore al momento della richiesta dei permessi, in funzione delle necessità di assistenza al disabile, da intendersi nel senso ampio che si è sopra evidenziato e, dall’altro, che la prova si è focalizzata sull’orario mattutino, senza considerare che l’assistenza può essere fornita nell’arco della giornata, non spettando al datore di lavoro controllare le modalità di esercizio della stessa, ma solo, sussistendone i presupposti, reagire a eventuali abusi in quanto incidenti sull’organizzazione lavorativa e sul dovere di buona fede e correttezza.

I permessi della Legge 104 sono permessi giornalieri su base mensile, e non su base oraria o cronometrica, e possono essere goduti a condizione che la persona gravemente disabile non sia ricoverata a tempo pieno, quindi l’assistenza del familiare può realizzarsi in forme non specificate.

Conclusivamente, la Suprema Corte cassando la sentenza impugnata, conferma il principio secondo cui l’assistenza a persona con disabilità in situazione di gravità che legittima il diritto del lavoratore dipendente, pubblico o privato, ai permessi mensili retribuiti legge n. 104/1992, non va intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione.

Avv. Emanuela Foligno

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