Legittima difesa: spara contro il ladro fermo in cortile, condannato

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Anche con la nuova legge sulla legittima difesa non è consentito sparare al ladro se non è pericoloso, tuttavia, qualora si accerti che l’agente abbia agito in una situazione di “grave turbamento” derivante dalla situazione di pericolo in atto, può essere scriminato alla luce della nuova causa di non punibilità

La vicenda

Ricostruendo la vicenda in base alle stesse dichiarazioni rese dall’imputato, era emerso che nottetempo, dopo essersi svegliato per aver sentito rumori sospetti, si accorgeva che un ladro stava tentando di entrare in casa propria dalla finestra sul balcone della camera da letto in cui dormivano i suoi tre figli, lasciata aperta per il caldo. Così, dopo aver imbracciato un fucile legalmente detenuto, usciva sul balcone e sparava dritto verso il ladro che nel frattempo, essendosi accorto di esser stato notato, si era già allontanato dal balcone, indietreggiando di qualche metro e fermandosi nel terreno antistante l’abitazione. Il cadavere dell’uomo sarà trovato in un fiume.

Per la corte d’appello di Napoli l’imputato aveva agito in un contesto difensivo, eccedendo colposamente i limiti imposti dalla necessità di reazione; in particolare aveva osservato che “l’imputato aveva agito in uno stato di turbamento per difendersi, eccedendo nella scelta delle modalità, ponendo in essere comunque ciò che sarebbe stato giustificato nella prima situazione percepita, ma divenuto superfluo, alla luce della più lontana posizione assunta dal ladro. Configurando pertanto l’eccesso colposo nella supposta condizione di legittima difesa”.

La nuova legge sulla legittima difesa

La Corte di Cassazione (sentenza n. 49893/2019) ha confermato la pronuncia della corte partenopea, ma allo stesso tempo, ha accolto il ricorso difensivo in ordine al secondo motivo con il quale il ricorrente aveva invocato l’applicazione della nuova disciplina approvata in tema di legittima difesa (non ancora promulgata al momento della proposizione del ricorso), più favorevole e dunque suscettibile di applicazione retroattiva ai sensi dell’art. 2, quarto comma, c.p.

Come è noto, la recentissima L. n. 36 del 2019 – ha inciso in maniera profonda su tale istituto inserendo nel corpo dell’articolo un secondo comma che così recita: «nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’art. 61, primo comma, n. 5) ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto».

La disposizione introdotta dalla “novella” che all’evidenza, restringe l’ambito del penalmente rilevante ravvisando una – del tutto nuova – causa di non punibilità che accede all’istituto dell’eccesso colposo in legittima difesa è certamente applicabile ai fatti pregressi, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, c.p., quale legge più favorevole.

Ebbene, tanto premesso, i giudici della Suprema Corte hanno evidenziato che la nuova disposizione non ha codificato un’ulteriore scriminante, che si aggiunge a quelle previste dagli artt. 50 ss c.p.

La situazione codificata nell’art. 55, secondo comma, c.p. si riferisce, tra le diverse cause di giustificazione, soltanto a quella della legittima difesa, e nell’ambito di questa, è ulteriormente circoscritta alle sole ipotesi in cui il fatto avvenga nei casi previsti dai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 52 c.p.

Essa inoltre, non si riferisce a tutte le possibili situazioni che pur nei riferiti luoghi, possano dar luogo ad una difesa legittima, essendone stato delimitato il campo di applicazione con esclusivo riferimento a chi abbia “commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità”, da ritenersi comprensiva dei casi di eccesso colposo commessi in legittima difesa di beni propri o altrui sia ragionevolmente ipotizzabile quel pericolo di aggressione personale considerato dall’art. 52, secondo comma, lett. b) c.p.

L’applicazione della causa di non punibilità

Laddove non sia neppure ipotizzabile che l’azione difensiva illecita ascritta a titolo di eccesso colposo possa essere stata determinata dall’intento di difendere l’incolumità dell’agente o di terzi – per essere stata esclusivamente riferibile alla difesa dei beni propri o altrui – la causa di non punibilità non è dunque configurabile.

La previsione di una causa di non punibilità connessa all’eccesso colposo per essere stati superati i limiti della necessità nel caso disciplinato dall’art. 52, secondo comma, c.p. – per il quale come detto, vige la presunzione di proporzione tra difesa e offesa –per i giudici della Suprema Corte, rappresenta l’oggettiva conferma che anche nel domicilio e nei luoghi equiparati l’uso scriminato dell’arma imponga il rispetto del requisito della legittima difesa.

La decisione

Ad ogni modo, nel caso in esame la fattispecie era certamente di per sé antigiuridica, “per difetto della necessità della reazione in concreto tenuta, strutturalmente configurabile quale reato colposo rispetto al quale sussiste un profilo di rimproverabilità della condotta (altrimenti, il soggetto agente andrebbe già esente da responsabilità ai sensi della previsione di cui al primo comma)”.

Mentre sul piano civile – hanno aggiunto gli Ermellini – la condotta continua ad essere fonte di responsabilità – sia pure nella forma attenuata dell’indennizzo, piuttosto che in quella piena del risarcimento del danno – sul piano penale essa viene invece ritenuta non punibile perché i limiti imposti dalla necessità di reazione sono stati (colpevolmente) superati per aver il soggetto agito in stato di minorata difesa, ovvero di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto, (nel caso di specie, determinata dalla vista del ladro). Dunque, una volta positivamente compiuto il giudizio di soggettiva rimproverabilità effettuato con riguardo all’agente modello, l’imputato non sarà punibile laddove alternativamente, ricorra una delle due, distinte, situazioni codificate.

Avv. Sabrina Caporale

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