Il caso riguarda una signora che aveva subito una lesione del nervo linguale a seguito di un intervento di avulsione di elemento dentario affetto da carie

Va segnalata una interessante sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Venezia in data 4 maggio 2017 e recante il nr. 868. I giudici di secondo grado della corte veneta si sono trovati ad affrontare una tipica vicenda di malpractice medica. Trattavasi del caso di una signora che aveva subito un intervento di avulsione di elemento dentario affetto da carie all’esito del quale aveva riportato danni sub specie di lesioni personali permanenti. Stando al resoconto dei fatti così come dedotto dall’attrice nell’atto introduttivo, dopo l’intervento eseguito dal dentista da lei evocato in giudizio e dal di lui assistente, la donna aveva continuato a percepire (nella parte destra della lingua) la sensazione tipica della anestesia. In seguito ad opportuni accertamenti, era emersa la lesione del nervo linguale.

Il dentista si era costituito in giudizio contestando gli assunti attori e chiedendo la chiamata in causa della propria compagnia di assicurazione ai fini della manleva. La causa era stata istruita documentatamente e tramite l’espletamento di una CTU medico-legale. La sentenza aveva però dato torto all’attrice sostenendo che, nella fattispecie, non fosse stato adeguatamente comprovato l’inadempimento qualificato del medico; infatti, stando alle risultanze della CTU medico-legale, l’errore era stato commesso non già dal sanitario convenuto in giudizio quanto piuttosto dal suo assistente alla poltrona. Quest’ultimo, sempre secondo le conclusioni del CTU, aveva esercitato una eccessiva pressione in fase di estrazione del dente causando così la lesione del nervo linguale.

Orbene, in sede di appello la corte veneziana ha ribaltato le conclusioni a cui era pervenuto il tribunale in primo grado. Ha infatti accolto il decisivo rilievo mosso dall’attrice secondo la quale avrebbe dovuto trovare applicazione, nel caso di specie, non solo e non tanto l’articolo 1218 del codice civile quanto piuttosto l’articolo 1228 del medesimo che, come noto, disciplina la responsabilità per fatto dei terzi ausiliari di un professionista.

In particolare, a detta del giudice ad quem,  il collega di primo grado aveva errato nell’affermare che la manualità del tipo interno di intervento espletato si contrassegnasse sia “per aspetti visibili, e dunque controllabili dal medico dominus dell’intervento, sia per aspetti non visibili, anche questi, come nel presente caso, rilevanti, ma non controllabili”. Sempre a detta del giudice di primo grado, “in mancanza di indicazioni diverse da parte del consulente (…) è impossibile al medico verificare la quantità di forza impiegata dall’assistente nel trattamento del lembo”.

In base al motivato ragionamento della Corte d’Appello, l’iter logico-argomentativo del Tribunale andava esattamente capovolto proprio alla luce del tipo di intervento medico chirurgico di cui trattasi. E vieppiù in ragione  della prevedibilità di una conseguenza dannosa come quella in concreto ( lesione del nervo linguale ) verificatasi per effetto di una incongrua sollecitazione meccanico-pressoria di trazione da parte dell’esecutore.

La CTU esperita in primo grado aveva evidenziato che l’intervento eseguito va considerato alla stregua di un atto chirurgico assolutamente comune, diffuso nell’ambito della chirurgia odontostomatologica e che il medesimo è idoneo (laddove maldestramente eseguito) a procurare lesioni al nervo linguale. Ergo si poteva e si può senz’altro sostenere che ci si trova di fronte a un tipo di atto le cui conseguenze dannose (in caso di una errata applicazione della forza da parte del dentista) sono assolutamente prevedibili.

Poco importa, in proposito, che tale estrazione e tale operazione sia stata, in concreto, compiuta non già (e direttamente) dal dentista, ma dal suo assistente. Infatti, vale in proposito il principio ribadito più volte dalla giurisprudenza di legittimità e di merito che il debitore il quale, nell’adempimento dell’obbligazione, si avvalga dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi e colposi di costoro. Si veda in proposito la sentenza di Cassazione nr. 12.833 del 6 giugno 2014. Peraltro –  sottolineano i giudici di secondo grado –  assume, nella fattispecie, un rilievo decisivo il fatto che dell’opera del terzo il debitore si sia avvalso nell’adempimento della propria obbligazione. Ponendo, così, l’obbligazione medesima a disposizione del creditore; di modo che la stessa risulta inserita nel procedimento esecutivo del rapporto obbligatorio.

Ne deriva la piena responsabilità del dentista anche in ossequio al noto brocardo “cuius commoda eius et incommoda”. Significa che –  laddove un professionista nello svolgimento di una determinata attività si avvalga dell’aiuto di terzi –  egli deve anche assumersi il rischio conseguente e derivante dai danni che possano essere cagionati al creditore da parte dell’ausiliario di cui il professionista concretamente si avvalga. E ciò anche a prescindere dall’esistenza di rapporto di lavoro subordinato che, laddove effettivamente sussistente, non potrà che rafforzare l’assunzione di responsabilità in capo al datore di lavoro.

La sentenza in commento è preziosa e va segnalata sia perché richiama la rilevanza, troppo sovente trascurata, dell’articolo 1228 del codice civile sia per un’altra ragione:  in tutti i casi in cui non siasi dimostrata l’inserzione (nel dipanarsi del processo causale) di un fattore totalmente imprevedibile e avulso dal regolare andamento del medesimo (e laddove non sia così dimostrata l’assenza di colpa dell’operatore sanitario) la responsabilità di quest’ultimo dovrà necessariamente essere dichiarata.

 

Avv. Francesco Carraro

Foro di Padova

 

 

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