Respinto il ricorso contro la decisione di merito di dichiarare il non doversi procedere nei confronti di due imputati accusati di lesioni colpose da colpa medica per tardività della querela

Il termine per proporre la querela per il reato di lesioni colpose da responsabilità medica inizia a decorrere non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui la stessa è venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l’hanno curata. E’ il principio ribadito dalla Cassazione nella sentenza n. 35424/2020.

I Giudici Ermellini, in particolare, si sono pronunciati sul ricorso presentato dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano contro la sentenza con cui la Corte di appello del capoluogo lombardo, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, aveva dichiarato il non doversi procedere nei confronti di due medici in ordine al delitto loro ascritto di lesioni colpose ex art. 590 cod. pen., perché l’azione penale non doveva essere iniziata per tardività della querela.

Il Collegio distrettuale aveva ritenuto tardiva la querela presentata dalla persona offesa, in quanto sin dalla raccomandata datata 20.2.2013, indirizzata all’azienda ospedaliera, la stessa aveva dimostrato di avere conoscenza del fatto-reato nella sua dimensione oggettiva e soggettiva, e cioè di aver subito lesioni personali in conseguenza di errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l’avevano curata.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte la parte ricorrente denunciava invece l’erronea applicazione della legge penale in punto di decorrenza del termine per la presentazione della querela.

Nello specifico deduceva che in tema di colpa medica, il termine per proporre querela va individuato nella data del deposito dell’elaborato medico-legale e quindi non nell’immediatezza del fatto. Nel caso in esame, la paziente aveva sviluppato svariate patologie connesse con l’intervento; sicché solo all’esito di tutti gli esami svolti nei mesi successivi al dicembre 2012 la persona offesa aveva incaricato un medico legale e solo all’esito della sua relazione aveva deciso di presentare la querela.

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo di doglianza. Ciò che rileva – hanno sottolineato i Giudici di Piazza Cavour – non è tanto la data del deposito della eventuale relazione medico-legale, quanto il momento in cui la persona offesa abbia contezza del fatto che sulla patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari.  

I giudici di merito avevano puntualmente individuato la data di decorrenza del termine per la proposizione della querela sulla base del contenuto della raccomanda in atti, datata 20.2.2013, inviata dalla persona offesa all’azienda ospedaliera, dal cui contenuto era stato logicamente desunto che, in quel momento, la parte era perfettamente a conoscenza di aver subito lesioni personali derivanti da una condotta negligente dei medici imputati.

Nella missiva in questione, sottoscritta dalla donna unitamente al suo difensore, si intimava all’azienda ospedaliera “il risarcimento di tutti i danni subiti, con riserva di agire giudizialmente senza ulteriori remore”, mediante descrizione delle precise responsabilità dei due chirurghi, che avevano permesso che due garze rimanessero all’interno dell’addome della paziente pur una volta rinchiuso l’addome stesso, specificando che: “La vicenda prima esposta configura una ipotesi emblematica di colpa medica per colpa e negligenza grave (…) La paziente ha così subito, anche grazie alla negligenza ed al ritardo diagnostico, lesioni permanenti, essendosi resa necessaria la rimozione di parte dell’intestino”.

Di conseguenza – hanno concluso dal Palazzaccio – il dies a quo per proporre la querela era stato correttamente individuato nel 20.2.2013, per cui la querela proposta il 3.9.2013 era stata giustamente ritenuta tardiva.

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