Confermata la circostanza aggravante dell’aver agito per motivi abietti e futili per un uomo accusato di lesioni personali nei confronti della ex compagna
Con la sentenza n. 23075/2020 la Cassazione ha respinto il ricorso di un uomo, condannato per lesioni personali aggravate nei confronti della ex compagna per averla buttata a terra, dandole una tesata e sbattendola contro un muro.
Nel caso esaminato dagli Ermellini, la Corte di appello, confermando la decisione del giudice di primo grado, aveva osservato che la circostanza aggravante dell’aver agito per motivi abietti e futili (di cui all’art. 61, n. 1, cod. pen.), non poteva essere esclusa, in quanto le lesioni, cagionate dall’imputato dopo la fine della relazione con la persona offesa, erano il frutto dello spirito punitivo nutrito nei confronti della donna, considerata come una propria appartenenza.
La spinta ad agire, pertanto, “era priva di quella minima consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento logicamente accettabile con l’azione commessa, talché essa appariva assolutamente sproporzionata all’entità del fatto”.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte, l’imputato lamentava l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 61, n. 1, cod. pen., tenuto conto che, alla luce della giurisprudenza di legittimità, non può configurare motivo abietto o futile la gelosia, ancorché collegata ad un abnorme desiderio di vita comune.
I Giudici Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto infondato il motivo di doglianza chiarendo che la gelosia può integrare l’aggravante dei motivi abietti o futili, quando sia connotata non solo dall’abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima o un terzo che appaia ad essa legata, ma anche nei casi in cui sia espressione di spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall’agente come atti di insubordinazione.
La giurisprudenza di legittimità, del resto, sottolinea la centralità del principio di autodeterminazione delle persone, correlato al fondamentale valore della dignità umana, che vale a giustificare la connotazione in termini di maggiore gravità delle condotte violente che trovino il loro movente nel senso di appartenenza nutrito dall’imputato nei confronti dell’individuo con il quale ha condiviso una relazione sentimentale (nel caso di specie, cessata).
L’accertamento della circostanza aggravante dei futili motivi, dunque – affermano dal Palazzaccio – deve essere svolta con “metodo bifasico”, richiedendo cioè la duplice verifica del dato oggettivo, costituito dalla sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato, e del dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale.
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