Assume i connotati della discriminazione indiretta la mancata comunicazione, da parte del datore di lavoro, dell’approssimarsi dello scadere del periodo di comporto al lavoratore “gravemente” malato; tanto da rendere nullo l’atto di licenziamento

La vicenda

Con ricorso presentato dinanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il ricorrente ha impugnato il licenziamento a lui intimato dalla società datrice di lavoro per superamento del periodo di comporto.

Il lavoratore ha dedotto di essere stato assunto, nel 1991, inizialmente con la mansione di addetto al reparto ortofrutta e successivamente adibito al settore “no food”, ossia detersivi, profumi, settore tecnologico etc., anche se sostanzialmente si era sempre occupato del primo settore, con precise disposizioni di caricare le pedane contenti alimenti, di spostare la merce sollevandola e posizionandola nei vari scaffali all’uopo predisposti.

Il ricorrente ha dichiarato di essere affetto, sin dall’età di sei anni, da diabete mellito insulinodipendente, oltre che da paresi del radiale sinistro con ipoplasia muscolare arto superiore sinistro, frattura pliriframmentaria del femore sinistro, con lieve riduzione del movimento di flessione del ginocchio (con una invalidità riconosciuta dalla Commissione Invalidi inizialmente nella misura del 50%, poi del 70%).

Nel 2007 a causa, del diabete, aveva subito l’amputazione dell’alluce destro e perciò, nel corso degli anni, era stato costretto a sottoporsi a periodiche visite del medico competente ai sensi del D.Lgs. n. 81/2008; e nel giugno 2016 era stato ricoverato per “sindrome coronarica acuta, scompenso cardiaco e diabete mellito scompensato”, e pertanto, sottoposto ad intervento chirurgico per infarto del miocardio.

Tuttavia, a lavoro era costretto a stare sempre in piedi, dovendo fare continui movimenti, abbassandosi e alzandosi per spostare la merce, nonostante le contrarie prescrizioni mediche e i numerosi inviti a mutare i propri compiti. Per tali motivi, era costretto ad assentarsi spesso dal lavoro, sino a quando nel novembre del 2016 veniva licenziato per superamento del periodo di comporto.

I motivi del ricorso

Il lavoratore ha adito il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere al fine di sentire dichiarare la nullità del licenziamento impugnato, per discriminazione indiretta e violazione degli obblighi di buona fede e correttezza, a causa della mancata comunicazione, da parte del datore di lavoro, dell’imminente scadenza del periodo di conservazione del posto, con conseguente impossibilità di fruire del periodo di aspettativa previsto dal CCNL Terziario.

La doglianza ha anche riguardato l’illegittimità/invalidità/inefficacia del recesso per mancato superamento del periodo di comporto, ai sensi dell’art. 17 del CCNL di settore, per la non computabilità dei giorni di assenza dovuti a responsabilità del datore ex art. 2087 c.c., nonché per il computo errato dei giorni di assenza; ed ha inoltre, denunciato la violazione dell’art. 7 L. 604/1966, come modificato dall’art. 1, comma 40, della Legge Fornero (n. 92/2012) per il mancato previo esperimento della conciliazione  preventiva prevista in caso di giustificato motivo oggettivo di licenziamento.

Per tutte queste ragioni, ha chiesto la condanna della società datrice di lavoro alla reintegra nel posto di lavoro con adibizione a mansioni compatibili con il proprio stato di salute, nonché al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 18 L. 300/1970, comprensivo di tutte le retribuzioni maturate e maturande dalla data di licenziamento alla effettiva reintegra e al versamento dei relativi contributi.

“In diritto, il superamento del periodo di comporto costituisce unica condizione, necessaria e sufficiente per ritenere la legittimità del recesso”- ha affermato il giudice adito.

Si tratta di un contemperamento tra interessi contrapposti: quello del datore di lavoro a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e, del lavoratore a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione.

Ed invero, il rischio della assenza del lavoratore ricade sulla pare datoriale non a tempo indefinito, bensì per un periodo ritenuto congruo e tollerabile, nella specie predeterminato dalla fonte collettiva (Cass. Sez. Lav., n. 13624/205).

È noto infatti, che il solo fatto del superamento di assenze fissate contrattualmente faccia venir meno il diritto alla conservazione del posto di lavoro ed è necessario e sufficiente perché il datore di lavoro possa licenziare il dipendente, non essendo esigibile che quest’ultimo si attivi al fine di comunicare l’imminente scadenza del comporto al lavoratore, il quale in tali casi è gravato di un preciso onere di autoresponsabilità.

Ciò detto però – ha precisato il giudice campano – costituisce principio di carattere generale, ma con valenza non assoluta, residuando alcune ipotesi nelle quali il datore è tenuto alla comunicazione in parola.

Al riguardo, il Tribunale di Milano ha affermato che l’esistenza di un obbligo o onere in capo ad un’azienda di comunicare al dipendente i giorni di malattia dallo stesso usufruiti e i criteri di computo del comporto può sussistere, eventualmente, nel caso in cui il lavoratore abbia avanzato una specifica richiesta in tal senso (Tribunale Milano, 22.1.2007).

Nel caso in esame, il ricorrente non aveva mai dedotto nè provato di aver presentato una formale richiesta di conoscere i dati numerici relativi alle sue assenze.

Tuttavia, vista la gravità delle patologie da lui sofferte, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – ha ritenuto configurabile quella situazione di “minorata difesa” da egli stesso invocata, tale da rendere l’intimato licenziamento connotato del predicato della discriminazione, seppure nella forma indiretta, con conseguente applicazione della tutela reale cd. “forte”.

“La società datrice di lavoro avrebbe dovuto comportarsi in maniera diversa e consona ai principi civilistici di correttezza e buona fede ex art. 1175 c.c. e, ai più generali principio civilistici di solidarietà sociale ex art. 2 Cost., che impongono di cooperare attivamente al fine del soddisfacimento dell’interesse della propria controparte contrattuale, con il limite dell’apprezzabile sacrificio”.

La decisione

In altre parole, “se è vero che generalmente non vi è l’obbligo per il datore di comunicare l’appropinquarsi della scadenza del comporto al lavoratore malato, vi sono delle fattispecie particolarmente gravi, in cui la comunicazione datoriale è sicuramente meno gravosa rispetto al dovere di attivarsi per chiedere informazioni da parte del lavoratore gravemente malato”.

Per tali motivi, nel caso in esame, la condotta del datore di lavoro è stata ritenuta come connotata da una oggettiva idoneità a discriminare il lavoratore in considerazione delle sue condizioni di salute particolarmente gravi e, come tale, atto a rendere nullo il licenziamento con le conseguenze previste dall’art. 18 comma 1° L. n. 300/1970 come modificato dalla l. 92/2012.

Non è stato, tuttavia, possibile disporre la reintegra del lavoratore, essendo deceduto nelle more del giudizio e pertanto, alla declaratoria di nullità di licenziamento ha fatto seguito il solo obbligo risarcitorio, non essendo stato neppure possibile accordare agli eredi l’indennità sostitutiva delle 15 mensilità.

Avv. Sabrina Caporale

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