Ha diritto di ottenere l’indennità di maternità già prevista dall’ordinamento per il padre dipendente pubblico o privato, anche il genitore libero professionista
Il vuoto normativo non ha impedito i giudici della Cassazione di affermare il principio sopra enunciato dal momento che i congedi e i riposi giornalieri, non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino; a maggior ragione nel caso di adozione, ove è necessario agevolare il processo di formazione e crescita del bambino creando le condizioni di una più intensa presenza della coppia.
La vicenda
Nel 2013 la Corte d’appello di Firenze aveva accolto l’impugnazione proposta da un giovane avvocato nei confronti della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense contro la decisione di primo grado con la quale era stata respinta la sua richiesta volta ad ottenere il pagamento, in suo favore, dell’indennità di maternità, a seguito dell’adozione di due bambini.
La domanda era supportata dalla recente decisione della Corte Costituzionale n. 385 del 2005 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli art. 70 e 72 del d.lgs. n. 151 del 2001 nella parte in cui non prevedevano che al padre spettasse il diritto di percepire, in alternativa alla madre, l’indennità di maternità in caso di adozione.
La corte territoriale aveva respinto l’eccezione della Cassa relativa alla valenza meramente programmatica e non direttamente precettiva della pronuncia in questione, successivamente confermata (corte cost. n. 285/2010).
Sicché la vicenda è giunta sino ai giudici della Cassazione.
Invero, la questione era stata già affrontata in un caso analogo deciso nel 2018 (sent. 10282/2018). Ed infatti, già allora i giudici della Suprema Corte aveva riconosciuto l’esistenza di un vulnus sia in ordine al principio di parità di trattamento che del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore, laddove il d.lgs. n. 151/2001, riconoscendo il diritto all’indennità genitoriale al padre adottivo o affidatario che sia lavoratore dipendente lo esclude , viceversa, nei confronti di coloro che esercitino una libera professione, i quali dunque, non avranno la facoltà di avvalersi del congedo e dell’indennità in alternativa alla madre,
si tratta infatti, di una vera e propria discriminazione, ciò a maggior ragione se si considera che, come si evince dagli ultimi interventi normativi e dai precedenti giurisprudenziali, i congedi e i riposi giornalieri, non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino “che va valutato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità” (Corte cost. n. 179/1993) »
Nell’ipotesi di affidamento e di adozione, ove l’astensione dal lavoro non è finalizzata alla tutela della salute della madre ma mira in via esclusiva ad agevolare il processo di formazione e crescita del bambino «creando le condizioni di una più intensa presenza della coppia, i cui componenti sono entrambi affidatari, e come tali entrambi protagonisti, nell’esercizio dei loro doveri e diritti, della buona riuscita del delicato compiuto» loro attribuito (sent. n. 341/1991) – continua Corte costituzionale n. 385/2005 – al fine di realizzare, in caso di adozione e affidamento, la garanzia di una complessa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, non riconoscere l’eventuale diritto del padre all’indennità costituirebbe un ostacolo alla presenza di entrambe le figure genitoriali.
Uguaglianza e parità di trattamento
Di qui la necessità di garantire «un’effettiva parità di trattamento fra i genitori nel preminente interesse del minore che risulterebbe gravemente compromessa ed incompleta se essi non avessero la possibilità di accordarsi per un’organizzazione familiare e lavorativa meglio rispondente alle esigenze di tutela della prole, ammettendo anche il padre ad usufruire dell’indennità di cui all’art. 70 del d.lgs. n. 151/2001 in alternativa alla madre. In caso contrario, nei nuclei familiari in cui il padre esercita una libera professione verrebbe negata ai coniugi “la delicata scelta di chi, assentandosi dal lavoro per assistere il bambino, possa meglio provvedere” alle sue esigenze, scelta che, secondo la giurisprudenza costituzionale, non può che essere rimessa in via esclusiva all’accordo dei genitori, “in spirito di leale collaborazione e nell’esclusivo interesse del figlio» (sent. n. 179/1993).
La corte costituzionale ha, poi ulteriormente precisato che il principio di uguaglianza implica che non possa non riconoscersi anche al professionista padre, tale facoltà già riconosciuta ai padri che svolgano un’attività di lavoro dipendente.
Per questi motivi con la citata pronuncia n. 385/2005 la Consulta ha inteso ribadire il carattere discriminatorio di tale ingiustificata assenza di tutela normativa per i padri liberi professionisti, con conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale, degli artt. 70 e 72 del d.lgs. 151/2001; senza tuttavia dimenticare che «rimane comunque riservato al legislatore il compito di approntare un meccanismo attuativo che consenta anche al lavoratore padre un’adeguata tutela».
Ciò detto, con riferimento al caso specifico, i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno inteso risolvere la questione in maniera positiva, accogliendo l’istanza del ricorrente.
L’assenza di tutela normativa “non può giustificare – hanno affermato – il mancato riconoscimento del diritto del padre adottivo a fruire della indennità in luogo della madre, rispetto alla analoga situazione del lavoratore dipendente. E già la dichiarazione di tale discriminazione da parte della Consulta è il primo effetto di eliminazione di tale irrazionale disparità di trattamento”.
Perciò “in attesa dell’intervento del legislatore per gli aspetti richiesti dalla Corte costituzionale, il giudice a quo, è comunque tenuto a individuare sul piano interpretativo la regola per il caso concreto che dia concreta vitalità al principio imperativo stabilito con la sentenza di accoglimento”.
La misura dell’indennità
Per quanto riguarda, invece, la misura dell’indennità predetta, i giudici Ermellini hanno chiarito che con riferimento alle libere professioniste vige al diversa regola per cui l’indennità di maternità è corrisposta indipendentemente dall’effettiva astensione dell’attività professionale.
Perciò “a differenza delle ipotesi di lavoro dipendente, la professionista o il professionista che si trova nella condizione di fruire dell’indennità in parola può continuare la propria attività e, quindi, in teoria non subire alcuna flessione reddituale. E in ogni caso, se la finalità dell’indennità è quella di compensare la eventuale flessione del reddito professionale derivante dalla nascita del figlio, è chiaro che non può certo giustificarsi un importo moltiplicato per il numero dei figli nati o adottati giacché non può certo immaginarsi che se non vi fosse stato il parto o l’adozione il medesimo professionista avrebbe realizzato redditi moltiplicati a seconda dei figli”.
Dott.ssa Sabrina Caporale
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