Un incredibile caso di malasanità in un’azienda ospedaliera brianzola. «Alla dodicesima settimana di gestazione sono andata dalla mia ginecologa di fiducia in una clinica milanese per una visita di routine e un’ecografia e per me è arrivato il buio: mi hanno detto che non c’era più battito, il mio bambino non c’era più».
Comincia così il calvario di una giovane donna lombarda che dopo questa notizia si è recata in un ospedale per un intervento di rimozione del feto.
Dopo l’intervento, in anestesia totale, è stata dimessa, senza un’ulteriore visita. Tempo 24 ore e sono cominciati dolori fortissimi, tanto che la donna con suo marito si sono rivolti a un altro ospedale. Qui, con grande sorpresa e anche sconcerto, da un’ecografia è emerso che il feto non era stato rimosso.
«Mi hanno portata di lì a poco in sala operatoria, gli esami hanno rivelato un principio di infezione. Sono stata operata una seconda volta in meno di quarantotto ore. Un nuovo dolore, una nuova anestesia e un nuovo trauma», racconta la donna che ha deciso di sporgere denuncia.
«È inammissibile che succedano cose del genere, il dolore è già forte così oltretutto avevo espressamente richiesto nel primo ospedale che sul mio bimbo venissero effettuati accertamenti, così da poter capire le cause della sua morte. Se era ancora nella mia pancia, quali referti mi avrebbero consegnato tra un mese? Cosa mi hanno tolto? In più, dato che sono passate molte ore, gli stessi esami che verranno comunque tentati dal personale sanitario di Melzo, non potranno dare risposte certe. Non saprò mai cosa è successo, se non che ho attraversato un inferno».
Il caso è arrivato sul tavolo della Procura della Repubblica di Monza, che ha già disposto il sequestro delle cartelle cliniche della trentottenne nei due ospedali, per un confronto. Secondo l’Ansa, l’ospedale non ha voluto rilasciare dichiarazioni.

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