È indennizzabile qualsiasi malattia di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione
La vicenda
La Corte d’Appello di Perugia in accoglimento dei motivi di appello formulati dall’INAIL, aveva respinto la domanda di un lavoratore, tesa ad ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia di cui era affetto, poiché causata dalla condotta vessatoria tenuta nei suoi confronti dal datore di lavoro.
A fondamento della propria decisione, la Corte territoriale aveva ritenuto non tutelabile nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria gestita dall’INAIL la malattia derivante non direttamente dalle lavorazioni elencate nell’art. n. 1 del d.p.r. n. 1124/1965, bensì da situazioni di cd. costrittività organizzativa, come il “mobbing” dedotto nel ricorso introduttivo, richiamandosi alla sentenza del Consiglio di Stato n. 1576 del 2009 la quale ha sostenuto che la malattia professionale, per essere indennizzabile deve rientrare nell’ambito del rischio assicurato ex artt. 3 T.U. 1124/1965, che riguarda solo le malattie professionali tabellate o non tabellate, contratte nell’esercizio ed a causa delle lavorazioni specifiche previste in tabella.
Il ricorso per Cassazione
La vicenda è giunta in Cassazione. Ebbene, il Supremo Collegio (Sezione Lavoro, ordinanza n. 8948/2020) ha accolto il ricorso del lavoratore, rilevando come la tesi su cui era fondata la sentenza della Corte d’Appello di Perugia non fosse in linea con l’ordinamento vigente e con la costante e coerente evoluzione impressa dalla giurisprudenza di legittimità, al concetto di rischio tutelato ai sensi dell’art. 1 del TU richiamato, ai fini delle malattie professionali.
Invero secondo il risalente e costante orientamento giurisprudenziale in materia di assicurazione sociale di cui all’art, 1 del DPR 1124/1965 rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio; ossia non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa: come la Suprema Corte ha affermato in svariate occasioni.
Tale interpretazione è oggi confermata testualmente dall’art. 10 comma 4 Legge 2000 n. 38 dal quale risulta che “sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale”.
In quest’ottica la Corte ha affermato che nell’ambito del sistema del TU, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica.
Pertanto, ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all’INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrate soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia.
A tale ricostruzione fa altresì riscontro il fondamento della tutela assicurativa, il quale ai sensi dell’art. 38 Cost., deve essere ricercato, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell’art. 38 non ha per oggetto l’eventualità che l’infortunio si verifichi, ma l’infortunio in sé; posto che, come riconosciuto dalla Corte Cost. “l’oggetto della tutela dell’art. 38 non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela” (sentenza n. 100 del 1991).
Per queste ragioni la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio della causa perché il giudice designato si attenga ai principi di diritto sopra enunciati in materia di tutela della malattia professionale discendente dell’organizzazione del lavoro.
Avv. Sabrina Caporale
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