Confermato il sequestro dell’automobile intestata fittiziamente alla moglie dell’indagato: nessun rilievo al fatto che la donna sia titolare di redditi da lavoro dipendente
Il sequestro preventivo dell’automobile
La ricorrente aveva agito per l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale di Bari che aveva rigettato la richiesta di riesame del decreto del GIP il quale, ritenuta la sussistenza indiziaria del reato di cui all’art. 512-bis c.p., aveva ordinato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca della sua autovettura. Secondo l’editto accusatorio, l’automobile era stata a lei intestata dal marito, al fine di sottrarre il bene ad eventuali misure di prevenzione patrimoniali.
Ad avviso della ricorrente, nessuno degli elementi indicati dal Tribunale a sostegno della decisione era idonea a dimostrare che l’autovettura fosse di proprietà del coniuge. Ella era peraltro, titolare di redditi da attività di lavoro dipendente e di “redditi doposcuola” (pur non dichiarati al Fisco) e dunque, era del tutto in grado di supportare l’acquisto dell’autoveicolo. Mancava inoltre, la prova rigorosa del dolo specifico, “non essendo sufficiente per l’integrazione del delitto di cui all’art. 512-bis c.p., il sol fatto della intestazione fittizia del bene, soprattutto quando essa avvenga a favore di familiari o conviventi soggetti ad indagini patrimoniali prodromiche all’emissione della misura di prevenzione”.
Ma il ricorso è stato dichiarato inammissibile (Corte di Cassazione, sentenza n. 14733/2020).
Il Tribunale aveva fatto buon governo dei principi di diritto più volte espressi dalla giurisprudenza di legittimità, dando atto che le deduzioni difensive, comunque non riscontrate, non escludevano, a livello indiziario, la sussistenza dei reati ipotizzati.
Dalla lettura del provvedimento impugnato risultava che l’autovettura oggetto di sequestro fosse condotta esclusivamente dal marito. Quest’ultimo era, infatti, stato colto alla guida dell’automobile in sei diverse occasioni ogni volta in assenza della moglie. A tale dato il Tribunale aveva aggiunto la impossibilità del nucleo familiare di far fronte a tale acquisto con i redditi dichiarati; il passato coinvolgimento del marito in vari procedimenti penali; la sua pregressa sottoposizione a misura di prevenzione personale; l’essere stato recentemente attinto, insieme alla moglie, da una misura di custodia cautelare per il reato di promozione/costituzione/direzione di un’associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di più delitti di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990.
Dall’esame di questi elementi il Tribunale aveva tratto il convincimento della sussistenza indiziaria del reato provvisoriamente ipotizzato argomentando con motivazione ampia e piena di richiami alle fonti di prova esaminate.
Inoltre, come autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite (n. 12621/2016) l’applicabilità dell’art. 26, comma secondo, D.Lgs. n. 159/2011 – che prevede presunzioni d’interposizione fittizia destinate a favorire l’applicazione di misure di prevenzioni patrimoniali antimafia – non impedisce di configurare il delitto di cui all’art. 12 quinquies l. 326/1992. Invero, “non vi è sovrapposizione fra la condotta incriminata – il cui disvalore si esaurisce mediante l’utilizzazione di meccanismi interpositori in grado di determinare la (solo) formale attribuzione (Sezioni Unite, n. 8/2001) – ed il meccanismo delle presunzioni di fittizietà destinate ad agevolare le misure di prevenzione patrimoniale, poiché l’applicabilità dell’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 non esclude la possibilità di configurare, eventualmente anche a titolo di concorso, nei confronti dei soggetti che partecipano alle operazioni di trasferimento o di intestazione fittizia, il reato di trasferimento di valori di cui all’art. 12-quinquies, trattandosi di norme relative a situazioni aventi presupposti operativi ad effetti completamente differenti (…); il rapporto esistente fra il proposto ed il coniuge, i figli e gli altri conviventi costituisce, pur al di fuori dei casi oggetto delle specifiche presunzioni di cui all’art. 26, comma 2, d.lgs. citato, una circostanza di fatto significativa, con elevata probabilità, della fittizietà della intestazione di beni dei quali il proposto non può che dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta formalmente titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica (Sezione Prima, n. 17743/2014; n. 23520/2013).
In definitiva, il ricorso è stato respinto con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Sabrina Caporale
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