Sono vietate quelle domande (suggestive) che tendono a suggerire la risposta al teste ovvero forniscono le informazioni necessarie per rispondere secondo quanto desiderato dall’esaminatore, anche attraverso una semplice conferma

Come è noto l’art. 198 c.p.p. fissa la regola principale per la quale l’escussione del testimone avviene mediante domande rivolte direttamente dal pubblico ministero e dai difensori, senza il filtro del giudice, eseguendo cadenze predeterminate. L’esame incrociato si articola nei tre momenti dell’esame diretto, del controesame e del riesame.

L’art. 506 c.p.p., comma 2 (nel testo modificato dalla L. n. 479 del 1999) prevede il potere del presidente di rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici, alle persone indicate nell’art. 210 c.p.p. e alle parti private solo dopo l’esame e il controesame. La puntualizzazione che le domande possano essere rivolte solo dopo l’esame e il controesame è stata considerata opportuna, qualora non sia stato possibile ottenere i necessari chiarimenti mediante le domande che hanno posto le parti.

La vicenda

La Corte di appello di Genova, decidendo in sede di rinvio, aveva dichiarato l’imputato colpevole anche del reato di cui all’art. 609-bis c.p., relativo agli atti sessuali computi nei confronti di una quattordicenne, condannandolo alla pena complessiva di tre anni di reclusione.

Contro tale decisione l’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione censurando, in particolare, le modalità di assunzione e valutazione della testimonianza resa dalla persona offesa.

Le modalità di assunzione della testimonianza, condotta in prima battuta e in gran parte dal consigliere relatore, e il contenuto delle domande da questi rivolte alla persona offesa ne avevano gravemente pregiudicato l’attendibilità, di talché la motivazione fondata principalmente sulle dichiarazioni rese da quest’ultima risultava viziata.

L’art. 499 c.p.p., come è esplicitamente indicato nella sua intestazione, detta le “regole per l’esame del testimone”, indica cioè i criteri cui il giudice deve attenersi nell’ammettere o vietare le domande delle parti. Il giudice, pertanto, deve vietare in modo assoluto le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte (comma 2); vietare alla parte che ha addotto il teste o che ha un interesse comune con lo stesso di formulare le domande in modo da suggerirgli le risposte (comma 3); assicurare durante l’esame del teste la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni (comma 6).

Il divieto di formulare domande suggestive

Il divieto di formulare domande che possano nuocere alla sincerità delle risposte, nel duplice senso delle domande “suggestive” – nel significato che il termine assume nel linguaggio giudiziario di domande che tendono a suggerire la risposta al teste ovvero forniscono le informazioni necessarie per rispondere secondo quanto desiderato dall’esaminatore, anche attraverso una semplice conferma- e delle domande “nocive” – finalizzate a manipolare il teste, fuorviandone la memoria, poiché gli forniscono informazioni errate e falsi presupposti tali da minare la stessa genuinità della risposta -è espressamente previsto con riferimento alla parte che ha chiesto la citazione del teste, in quanto tale parte è ritenuta dal legislatore interessata a suggerire al teste risposte utili per la sua difesa. A maggior ragione, detto divieto deve applicarsi al giudice al quale spetta il compito di assicurare, in ogni caso, la genuinità delle risposte ai sensi del comma 6 della medesima disposizione (Sez. 3, n. 7373 del 18/01/2012).

È evidente, pertanto, che l’inosservanza delle regole stabilite dal codice di rito per assicurare la sincerità e genuinità delle risposte del teste rende la prova non genuina e poco attendibile.

La decisione

Nel caso in esame, le domande rivolte dal consigliere relatore alla testimone presentavano entrambi gli aspetti di suggestività e di nocività. Si trattava, invero, di domande assertive che indirizzavano la teste verso una mera conferma di quanto l’interrogante andava postulando. Le domande, inoltre, entravano nel dettaglio, con palese manipolazione delle risposte date dalla giovane donna.

Per queste ragioni, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio per un nuovo giudizio (Quarta Sezione Penale della Cassazione, sentenza n. 15331/2020).

Avv. Sabrina Caporale

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