Il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia necessita di una concreta e specifica dimostrazione che può essere data anche in termini di probabilità purché si tratti di “probabilità qualificata”
In ordine ai criteri di riparto dell’onere probatorio, nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all’origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell’eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di “probabilità qualificata”, da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 38372 pronunciandosi sul ricorso di di una donna che si era vista respingere, in sede di merito, la domanda proposta nei confronti dell’INAIL e volta a conseguire la rendita ai superstiti in seguito alla scomparsa del coniuge.
La Corte distrettuale – respinta la produzione di ulteriore documentazione medica in quanto formata in data antecedente il ricorso originario di primo grado e rinnovato l’incarico al consulente tecnico d’ufficio – aveva rilevato che il lavoratore, al quale era stata riconosciuta una tecnopatia (broncopatia cronica ostruttiva) dall’INAIL sin dal 1967, non aveva provato, in termini di ragionevole certezza, il nesso di causalità tra malattia professionale e decesso, ritenuto che anche la perizia svolta dal consulente tecnico d’ufficio in grado di appello aveva sottolineato che il ricovero avvenuto il 10.1.2016 non era correlabile ad una eventuale evoluzione peggiorativa della bronchite cronica e che le condizioni generali del lavoratore si erano aggravate per il sopraggiungere di un grave evento accidentale, quale “trauma cranico commotivo con ematoma cortico frontale sinistro che aveva comportato uno squilibrio emodinamico, idroelettrico e metabolico in soggetto di età veneranda”.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte, la ricorrente deduceva omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., avendo, la Corte territoriale, acriticamente aderito alle conclusioni del perito ed essendo evidente che la valutazione circa l’assenza di nesso causale tra la morte del lavoratore e la malattia professionale era stata introdotta con ragionamento avulso dalle risultanze oggettive derivanti dalla documentazione medica prodotta, risultando invece ex actis (dovendosi ammettere anche l’ulteriore documentazione prodotta in appello) che la morte era derivata assolutamente dalla broncopatia e non da altri fattori.
La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto inammissibili la doglianza proposta in quanto la Corte territoriale, avvalendosi della rinnovata nomina di un consulente tecnico d’ufficio, aveva evidenziato che non vi erano elementi sufficienti per ritenere sussistente un nesso di causalità tra patologia sofferta e decesso, determinato – in soggetto di “età veneranda”, da un grave evento accidentale.
La redazione giuridica
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