Il mesotelioma pleurico è esplicitamente previsto tra le malattie professionali tabellate; pertanto, in caso di esposizione al relativo rischio, la presunzione legale di origine professionale opera in modo immediato

Nel sistema dell’assicurazione contro le malattie professionali – quale risulta per effetto dell’ampliamento della protezione alle malattie professionali non tabellate operato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 179 del 1988 – la distinzione tra le malattie comprese nelle tabelle e quelle ivi non comprese rileva sul piano della prova del nesso di causalità. Costituisce infatti principio consolidato quello secondo il quale l’inclusione nella tabella sia della lavorazione svolta che della malattia contratta (purché insorta entro il periodo massimo d’indennizzabilità eventualmente previsto) comporta l’applicazione della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato. In tal caso, dunque, al lavoratore è sufficiente dimostrare lo svolgimento professionale della lavorazione indicata in tabella e di essere affetto dalla malattia ivi prevista, per essere esonerato dalla prova dell’esistenza del nesso di causalità tra l’uno e l’altra, avendo già l’ordinamento compiuto la correlazione causale tra i due termini.

Lo ha ricordato la Cassazione con l’ordinanza n. 39751/2021 pronunciandosi sul ricorso degli eredi di un uomo deceduto per mesotelioma pleurico, che si erano visti rigettare, in sede di merito, la domanda proposta nei confronti dell’INAIL e volta a conseguire la rendita o l’indennizzo per malattia professionale.

La Corte distrettuale – rinnovato l’incarico ad altro consulente tecnico d’ufficio – aveva rilevato che (pur essendo previsto il “mesotelioma da esposizione a fibre di asbesto” nelle tabelle Inail di cui al d.m. 9.4.2008) il lavoratore non aveva provato le concrete modalità di svolgimento dell’attività lavorativa (operaio di armamento) e, in particolare, l’assegnazione, stabile e duratura, in servizi direttamente coinvolgenti la lavorazione di componenti contenenti amianto, quali il controllo delle operazioni di bruciatura delle littorine, dal 1986 al 1990, presso la stazione ferroviaria di Alcamo (risultando – per converso – documentalmente avviata, l’opera di distruzione delle vetture, solamente a partire dal 1996); invero, le prove testimoniali avevano dimostrato che il lavoratore non aveva direttamente partecipato a dette operazioni, dovendo controllarle a distanza alternandosi in turni con altri due colleghi, e non erano emersi né la frequenza di tali interventi né il numero di mezzi ferroviari coinvolti; carente di un sufficiente ausilio probatorio era risultata anche la dedotta dispersione, nell’ambiente circostante, dei fumi e ceneri residuate dalle operazioni di bonifica tramite l’interazione di agenti atmosferici.

Nell rivolgersi alla Suprema Corte, i ricorrenti deducevano violazione o falsa applicazione degli artt. 3 del T.U. n. 1124 del 1965, 3 e 38 Cost. – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. – avendo, la Corte territoriale, trascurato che dall’istruttoria era emerso un compendio indiziario dotato di gravità, precisione e concordanza, contrassegnante la contaminazione dell’ambiente circostante il binario 12 della stazione di Alcamo diramazione, ove il congiunto svolgeva la sua attività lavorativa, in ragione della dispersione di fibre di amianto, essendo altresì notorio e confermato dai testimoni che l’amianto era stato impiegato nel comparto dei rotabili ferroviari ed essendo sufficiente ravvisare il rischio ambientale.

Gli Ermellini, hanno invece chiarito che “invero, il sistema tabellare esonera il lavoratore dalla prova del nesso di causalità tra la lavorazione tabellata e la malattia, ma non dalla prova dell’adibizione professionale alla prima. Per far scattare la presunzione di nesso causale in concreto ed in relazione al caso specifico, la prova del lavoratore dovrà dunque avere ad oggetto (oltre alla contrazione della malattia tabellata) lo svolgimento di una lavorazione che rientri nel perimetro legale della correlazione causale presunta e dunque che sia ritenuta idonea, secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica, a provocare la malattia. Solo in tal caso la fattispecie concreta potrà ritenersi aderente a quella astratta prevista dalla tabella e potrà scattare la presunzione di eziologia professionale con specifico riferimento a quel lavoratore. 8. La presunzione legale in questione non è assoluta, rimanendo la possibilità per l’INAIL di fornire la prova contraria, ad esempio dimostrando che la malattia, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all’esposizione a rischio, in quanto quest’ultima sia cessata da lungo tempo, oppure che il lavoratore è stato concretamente esposto all’agente patogeno connesso alla lavorazione tabellata in misura non sufficiente nel caso concreto a cagionare la malattia, o che sussista un fattore extralavorativo che sia stato di per sé idoneo a determinarla”.

A questo proposito, poiché nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione il principio di equivalenza causale di cui all’art. 41 c.p., è sufficiente per far sorgere la tutela in favore del lavoratore che l’esposizione a rischio sia stata concausa concorrente della malattia, non richiedendosi che essa abbia assunto efficacia causale esclusiva o prevalente. Ne discende che, per vincere la presunzione di eziologia professionale, la prova contraria dell’INAIL dovrà avere ad oggetto l’efficacia causale esclusiva dell’eventuale fattore morbigeno extralavorativo.

Il mesotelioma pleurico, che rilevava nella causa in esame, è esplicitamente previsto tra le malattie “contratte nelle lavorazioni che espongono all’inalazione delle fibre di asbesto” alla voce n. 57 della Nuova Tabella delle malattie professionali dell’industria, all. 4, da ultimo modificata dal D.M. 9 aprile 2008. Si tratta quindi di malattia nosologicamente definita nella tabella, in relazione alla quale in caso di esposizione al relativo rischio la presunzione legale di origine professionale opera in modo immediato.

Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva riferito che era stata accertata la malattia denunciata (mesotelioma da esposizione a fibre di asbesto), che aveva condotto a morte il de cuius. L’assegnazione a servizi di controllo delle operazioni di smontaggio/bruciatura delle littorine coibentate di amianto presso la stazione ferroviaria di Alcamo era emersa dalle prove testimoniali. Aveva, peraltro, escluso la ricorrenza della malattia tabellata rilevando l’assenza di elementi probatori tesi a dimostrare l’adibizione diretta ai compiti di demolizione delle littorine e la frequenza non occasionale all’esposizione alle fibre di amianto.

La Corte territoriale, peraltro, non aveva considerato che ai fini dell’operatività della tutela assicurativa per la giurisprudenza – anche costituzionale (Corte. Cost. 206 del 19/74) – è sufficiente il rischio ambientale; ovvero che il lavoratore abbia contratto la malattia di cui si discute in virtù di una noxa comunque presente nell’ambiente di lavoro ovvero in ragione delle lavorazioni eseguite al suo interno, anche se egli non fosse stato specificatamente e direttamente addetto alle stesse mansioni nocive. Del pari, la Corte territoriale aveva errato ove aveva fatto riferimento alla pretesa necessità di una valutazione di sufficiente verosimiglianza di duratura (ossia non occasionale) assegnazione a servizi direttamente coinvolgenti la lavorazione di componenti di amianto e alla diversa questione della prova dell’esposizione qualificata: nelle malattie asbesto correlate (in specie per il mesotelioma, definita malattia monofattoriale) il fattore di rischio è previsto in tabella (dal D.P.R. n. 336 del 1994 e segg.; ed oggi alla voce n. 57 della tabella di cui al d.m. 9.4.2008) in termini ampi (“Lavorazioni che espongono all’azione delle fibre di asbesto”), senza indicazione di soglie quantitative, qualitative e temporali; inoltre, l’esposizione qualificata è richiesta per l’accesso ai c.d. benefici contributivi di cui alla L. 257 del 1992, art. 13 e ss. (questione che invece nel caso in esame non rileva ad alcun fine).

La Corte territoriale aveva pertanto violato i principi che governano la distribuzione dell’onere della prova del nesso causale nelle malattie tabellate, in quanto, essendo risultate in causa l’esposizione a rischio e l’affezione dalla malattia tabellata, incombeva sull’INAIL l’onere di fornire la prova idonea a vincere la presunzione legale di nesso causale, avente ad oggetto l’eventuale esistenza di un diverso ed esclusivo fattore causale extralavorativo.

La redazione giuridica

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