È valido il ragionamento presuntivo seguito dalla corte di merito che decide di aumentare l’assegno di mantenimento per la moglie e i figli, qualora ritenga che i documenti allegati dal coniuge obbligato non corrispondano alla sua reale capacità contributiva

La Corte d’appello di Brescia, adita in una controversia concernente la separazione personale di due coniugi, aveva elevato a 600 euro l’assegno mensile dovuto dal coniuge ricorrente per ognuno dei tre figli e ad 800 euro quello per il mantenimento della moglie.

Contro tale pronuncia l’obbligato ha proposto ricorso per cassazione lamentando l’errata valutazione compiuta dalla corte d’appello, perché- a suo avviso – basata essenzialmente su “una presunzione semplice, influenzata da altre presunzioni semplici, in assenza di gravità, precisione e concordanza degli elementi indiziari”.

In altre parole, il ricorrente si doleva del fatto che la corte di merito avesse ritenuto che il suo reddito da lavoro effettivo (quale amministratore di una società di capitali) fosse ancora quello precedente ad una delibera dell’assemblea dei soci, risalente a tre anni prima della sentenza, che aveva diminuito i suoi emolumenti.

Per i giudici dell’appello i documenti prodotti dal ricorrente non rispecchiavano la sua reale capacità contributiva, non avendo egli neppure allegato gli estratti dei conti bancari successivi alla delibera che comprovavano l’effettivo decremento reddituale.

Ebbene la Corte di Cassazione (Sesta Sezione Civile, sentenza n. 5279/2020) ha confermato la pronuncia della corte d’appello lombarda, perché conforme al principio di diritto secondo il quale il ragionamento presuntivo deve articolarsi in due momenti, occorrendo che il giudice valuti, prima, in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, procedendo, solo successivamente, a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se essi siano concordanti e idonei, nella loro combinazione, a fornire una valida prova presuntiva (Cass. n. 19894/2005). Nel caso in esame la censura conteneva esclusivamente una critica alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici dell’appello ed alla valutazione da essi espressa sugli elementi –diversamente valutati dal Tribunale – ai fini della prova indiziaria propugnando un differente approdo.

Peraltro, – ha aggiunto il Supremo Collegio – “la censura in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può imitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento stessi, restando escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo” (Cass. n. 15737/2003).

Il ricorso è stato, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato alla refusione delle spese di legittimità.

La redazione giuridica

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