Mantenimento dei figli maggiorenni, il nuovo orientamento della Cassazione

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È errata la negazione dell’assegno di mantenimento alla figlia ventenne per mancanza di prova sul completamento degli studi. La Suprema Corte enuncia un importante principio di diritto in materia di mantenimento dei figli maggiorenni (Corte di Cassazione, I civile, ordinanza 8 maggio 2025, n. 12121).

I fatti

Il Tribunale di Ragusa dichiara la separazione dei coniugi e respinge le rispettive domande di addebito nonché la richiesta di assegno di mantenimento avanzata dalla moglie e revoca l’assegno di mantenimento in favore della figlia, divenuta nelle more del giudizio maggiorenne.

La donna propone appello ma i Giudici di secondo grado lo respingono osservando che la figlia maggiorenne aveva nelle more raggiunto l’età di 20 anni e che ella non ha fornito alcuna prova di aver completato gli studi, che anzi secondo la madre ha del tutto abbandonato e non è stata neppure dedotta la sussistenza di eventuali ragioni che le abbiano impedito di svolgere attività lavorativa”.

La donna si rivolge alla Corte di Cassazione

Deduce che la Corte di merito avrebbe errato nel negare l’assegno di mantenimento alla figlia solo sulla base della raggiunta maggiore età.

La ricorrente deduce che la figlia G., alla data della pronuncia della statuizione di primo grado (21/06/2022) che le revocava il diritto al mantenimento (accordato in via provvisoria in esito alla prima udienza, tenutasi nell’anno 2019) aveva raggiunto la maggiore età da un solo anno, e da una ragazza appena diciannovenne non può certo pretendersi, in un territorio (provincia di Ragusa) con percentuali altissime di disoccupazione, specie femminile, quale è l’estremo sud Italia, di essere economicamente indipendente. Deduce anche che sarebbe stato onere del genitore interessato alla revoca dell’assegno provare la condizione di autosufficienza economica della figlia.

Le doglianze sono ritenute fondate dalla Cassazione

Innanzitutto, la S.C. riepiloga la norma centrale sui diritti del figlio, che non distingue tra i diritti del figlio maggiorenne e del figlio minorenne se non al comma terzo, per il diritto di ascolto, proprio solo del figlio minorenne perché quest’ultimo non ha la capacità di agire e attraverso l’ascolto è comunque ammesso ad esprimere la propria opinione e le proprie esigenze sulle questioni che lo riguardano.

Egualmente né l’art. 316 c.c. (responsabilità genitoriale) né l’art. 316-bis c.c. (concorso nel mantenimento) fanno distinzione tra figli minorenni e figli maggiorenni e neppure vi è distinzione nell’art. 30 della Costituzione: “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”.

Le riforme della filiazione

La riforma della filiazione (2012 e 2013) finalizzata ad attuare il disposto costituzionale, ha sostituito l’obsoleto istituto della potestà genitoriale con quello della responsabilità genitoriale, sostituzione che non è meramente terminologica, ma costituisce un cambio di rotta e una innovazione che testimonia una mutata considerazione del rapporto tra genitori e figlio nella quale vengono posti in primo piano i diritti di quest’ultimo.

La dottrina ha subito evidenziato, infatti, un particolare elemento di differenziazione sostanziale che caratterizza la responsabilità genitoriale rispetto alla potestà, e ne testimonia il carattere più ampio e che si coglie sotto il profilo dell’assenza di una limitazione temporale, che era originariamente era fissato dall’art. 316 c.c. al compimento della maggiore età dei figli o alla loro emancipazione. Pertanto, pur cessando i poteri di rappresentanza, la cura che il genitore deve prestare al figlio prosegue ben oltre il raggiungimento della maggiore età e fino al conseguimento della indipendenza economica. L’adempimento degli obblighi corrispondenti ai diritti previsti dall’art. 315-bis c.c., tenendo conto delle capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni del figlio, costituisce l’oggetto principale della responsabilità genitoriale; per cui, come sottolinea la relazione illustrativa, la responsabilità genitoriale non viene meno con la maggiore età, ma perdura, quantomeno nella sua componente economica, sino a che il figlio non abbia raggiunto l’indipendenza.

In questo contesto “storico”, l’art. 337-septies c.c. non costituisce la fonte dell’obbligo dei genitori, ma piuttosto la norma che specifica la modalità con il quale il dovere di mantenimento si assolve nei confronti dei figli maggiorenni: e cioè con il pagamento di un assegno periodico, qualora non sia ancora conseguita l’autonomia economica, versato direttamente all’avente diritto, salvo diversa determinazione del Giudice.

L’autoresponsabilità del figlio maggiorenne

A suddetti principi bisogna aggiungere quello di autoresponsabilità, cui richiamare il figlio per impedirgli di abusare del suo diritto, poiché il diritto del figlio si giustifica, come emerge anche dal dettato costituzionale, all’Interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo, tenendo conto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, ma anche del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro: non è giustificabile nel figlio adulto l’attesa ad ogni costo di un’occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata e in tal senso si vedano Cass. 12952/2016; Cass. n. 5088/2018; Cass. n. 29264/2022; Cass. 26875/2023; Cass. n. 12123/2024.

Ad esempio, in tema di assegnazione della casa familiare in comodato, le SS.UU. (20448/2014) hanno fatto riferimento a questo ultimo principio, affermando che “il figlio, in forza dei doveri di autoresponsabilità che su di lui incombono, non può pretendere la protrazione degli obblighi parentali oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché “l’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione”.

L’obbligo ci mantenimento dei figli maggiorenni

Pertanto, pur se l’obbligo di mantenimento del figlio non cessa ipso facto con il raggiungimento della maggiore età “può essere accertato il venir meno del diritto al mantenimento, qualora il figlio, abusando di quel diritto, tenga un comportamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato di occasioni di lavoro (ovvero di colpevole negligenza nel compimento del corso di studi intrapreso) e, quindi, di disinteresse nella ricerca dell’indipendenza economica” (v. Cass. n. 18076/2014).

Il principio di cui all’art. 2697 c.c., invocato dalla madre ricorrente, opera nel senso di fare gravare sull’attore, e non sul convenuto, la prova dei fatti costituitivi del diritto, e occorre considerare che il fatto estintivo della obbligazione legale che grava sui genitori non è la maggiore età, ma il conseguimento dell’indipendenza economica (o il mancato conseguimento per negligenza dell’interessato) che, come tutti i fatti estintivi del credito, deve essere provato dal debitore.

In tal senso la S.C. dà continuità al principio (12952/2016) secondo cui l’onere della prova ben può essere assolto mediante l’allegazione di circostanze di fatto da cui desumere in via presuntiva l’estinzione dell’obbligazione dedotta. Più specificamente, sempre in materia di mantenimento dei figli maggiorenni e non autosufficienti i presupposti su cui si fonda l’esclusione del relativo diritto sono integrati: dall’età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata dell’avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento; dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (Cass. n. 38366/2021).

Figli appena maggiorenni e figli adulti

Oltre a tutto ciò bisogna anche considerare che se il figlio è neomaggiorenne e prosegue nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento. Viceversa, per il “figlio adulto” in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendono giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa (Cass. n. 26875/2023).

Pertanto, anche in tema di mantenimento dei figli maggiorenni, in conformità ai principi generali sull’onere della prova, spetta a chi agisce in giudizio invocando la sussistenza del diritto o – all’opposto – il venir meno dei presupposti della sua persistenza, in primo luogo un onere di allegazione, ed in secondo luogo l’onere della dimostrazione delle circostanze allegate ed in ipotesi contestate, onere quest’ultimo che si giova della possibilità di invocare presunzioni precise e univoche, che, laddove presenti, determinano nel controinteressato l’onere di dimostrare il contrario, secondo l’ordinario meccanismo processuale della prova per presunzione semplice.

I Giudici di appello non si sono conformati a queste regole

In primis, non hanno attribuito alcun valore alla circostanza che l’assegno in favore della figlia era già stato riconosciuto, sia pure in via provvisoria, dal momento che il giudizio era iniziato quando ella era ancora minorenne. Né hanno valutato la circostanza che nella precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado il padre non solo non ha chiesto di accertare il venir meno dell’obbligo, ma ha egli stesso chiesto che gli venisse imposto un assegno in favore della figlia neomaggiorenne, così omettendo di valutare se – quantomeno fino ad una certa data- operasse il principio di non contestazione sui fatti dedotti a fondamento del diritto.

Vi è anche da aggiungere che i Giudici di appello non hanno dato importanza all’età della ragazza (vent’anni) al momento del giudizio di appello, e non hanno considerato che il giudizio era iniziato quando ella era minorenne e si è concluso in primo grado quando la stessa aveva ancora soltanto diciannove anni – e quindi la presunzione legata all’età operava in suo favore. Ebbene, il Giudice deve accertare in quale momento si estingue il diritto e non solo prendere atto che al momento in cui si conclude il giudizio è stata raggiunta l’età della (presunta) indipendenza economica.

Mantenimento dei figli maggiorenni e responsabilità genitoriale

Inoltre, il secondo grado si è limitato a rilevare che la ragazza non proseguiva gli studi, senza valutare “concretamente e globalmente” la sua condizione e cioè la sua capacità lavorativa, in relazione alla sua formazione professionale e alle possibilità concrete date del mercato del lavoro locale in generale e per la occupazione femminile in particolare.

Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione per un nuovo esame attenendosi al seguente principio di diritto:

Il dovere dei genitori di mantenere i figli, stabilito dall’art 315-bis c.c. e correlato alla responsabilità genitoriale, non cessa ipso facto con il raggiungimento da parte di costoro della maggiore età ma termina solo nel momento in cui il figlio consegue l’autonomia economica, o avrebbe dovuto farlo secondo i paramenti di una diligente condotta, da accertare con riferimento al caso concreto”.

Avv. Emanuela Foligno

IL COMMENTO

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