Medesimo pregiudizio: danno biologico e danno dinamico-relazionale (Cassazione civile, sez. VI, dep. 22/06/2022, n.20182).

Medesimo pregiudizio: danno biologico e danno dinamico-relazionale.

La interessante decisione che si commenta trae origine da un sinistro stradale. Il danneggiato cita a giudizio dinanzi il Giudice di Pace di Parma l’Assicurazione del veicolo su cui era trasportato, il proprietario del veicolo responsabile e la relativa Assicurazione.

Il Giudice di Pace dichiarava improcedibile la domanda.

Adito in funzione di Giudice d’appello il Tribunale di Parma, la domanda veniva rigettata con condanna alle spese.

La domanda veniva dichiarata infondata solo a seguito del deposito della CTU in sede di appello, e il Giudice osservava che, alla luce dei postumi permanenti quantificati dalla CTU nella misura del 2% e della invalidità parziale stimata, spettava in base alle tabelle previste dal codice delle assicurazioni l’importo complessivo di Euro 2.588,54, di cui Euro 1.409,72 per il danno biologico ed Euro 1.178,82 per I.T.P., importo con rivalutazione ed interessi corrispondente a Euro 2.647,45 e complessivamente da intendere risarcito ante causam dall’appellante. Aggiungeva, inoltre, il Giudice d’appello, che non risultavano ulteriori somme liquidabili a titolo di aumento per danno morale o danno esistenziale, non risultando al riguardo nessuna circostanza allegata dalla parte attrice.

Il danneggiato ricorre in Cassazione denunciando che l’omessa considerazione sia l’aspetto della sofferenza interiore, che quello dinamico-relazionale ed in particolare, quanto a quest’ultimo, l’aumento personalizzato del danno biologico. Lamenta, inoltre, la errata liquidazione delle spese di lite.

Il primo motivo è inammissibile.

Danno biologico e danno dinamico-relazionale, ribadiscono gli Ermellini, individuano il medesimo pregiudizio, atteso che con il secondo si identificano i pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente.

La personalizzazione del danno biologico che comporta l’incremento della misura standard prevista dalla legge (o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli uffici giudiziari di merito), presuppone la presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari e  il danno morale soggettivo, liquidabile in via ulteriore rispetto alla componente del danno biologico, deve essere provato anche in via presuntiva.

Ciò premesso,  il D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 139, comma 3, subordina la possibilità di aumentare il risarcimento, alla ricorrenza di un’incidenza della menomazione in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali documentati e obiettivamente accertati, ovvero abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità.

La censura del ricorrente è carente di specificità. Non vengono indicati specifici presupposti giustificativi dell’aumento, ma viene invocato genericamente il riconoscimento del risarcimento per sofferenza interiore e l’incremento del quantum alla luce di una generica personalizzazione, che non può essere riconosciuta proprio in virtù del fatto che le voci di danno lamentate rappresentano il medesimo pregiudizio.

Anche il secondo motivo è inammissibile.

La censura è estranea alla ratio decidendi, ed è pertanto priva di decisività, atteso che il Tribunale ha espressamente determinato il compenso del difensore con riferimento alla fase decisoria.

Pertanto, il ricorso viene dichiarato complessivamente inammissibile con condanna alle spese.

La redazione giuridica

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