Il giudice deve illustrare le ragioni della scelta operata, in modo accurato attraverso un percorso logico e congruo, tanto più quando la scelta comporti l’adesione alle conclusioni del consulente tecnico e non del perito
La vicenda
La Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza di assoluzione, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato, per intervenuta prescrizione del reato di omicidio colposo, confermando le statuizioni civilistiche conseguenti.
L’imputato era un medico in servizio presso un ospedale accusato di omicidio colposo ai danni di una paziente che aveva avuto in cura.
Il sanitario aveva visitato la paziente per la prima volta nel mese di maggio del 2009; pur prendendo atto delle risultanza dell’ecografia effettuata circa un mese prima ometteva, tuttavia, di disporre i necessari accertamenti, limitandosi a diagnosticare una cisti mammaria; la stessa diagnosi veniva confermata anche all’esito della seconda visita effettuata qualche mese dopo.
Senonché, rivoltasi presso un altro ospedale, alla donna veniva diagnosticato un carcinoma triplo negativo allo stadio III B, ormai insensibile alle cure.
Per i giudici di merito, il ritardo della diagnosi e degli interventi necessari sulla paziente avevano determinato l’ingravescenza della malattia e il suo decesso.
Il ricorso per Cassazione
Contro la sentenza della corte d’appello di Milano ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, lamentando l’erronea applicazione della legge penale, in ordine alla sussistenza del nesso causale tra la condotta addebitata e la morte della paziente, sia sotto il profilo commissivo che sotto quello omissivo.
Ed infatti, la perizia disposta dal giudice di primo grado aveva escluso che una differente condotta dell’imputato avrebbe avuto esiti meno infausti per la vittima, come confermavano anche i periti nominati dal giudice.
La perizia, aveva anche chiarito che una diagnosi anticipata non avrebbe modificato il decorso della malattia e che, per avere dei risultati differenti in termini di certezza, essa avrebbe dovuto essere anticipata di un anno.
La questione su cui si discute ruota intorno alla sussistenza del necessario nesso di causalità tra la condotta per omissione e l’evento letale, e se una corretta tempestiva sottoposizione della paziente alle pratiche diagnostiche e terapeutiche richieste dalle leggi mediche avrebbe consentito di evitare la morte della stessa (giudizio controfattuale) o, anche solo (come in più occasioni affermato dalla corte milanese) di assicurare una migliore qualità del restante periodo di vita.
Col ricorso per cassazione, l’imputato poneva in rilievo il fatto che i giudici di merito avessero incentrato la propria decisione su valutazioni affidate a criteri meramente probabilistici e non già, da una (necessaria) prova certa sulla sussistenza del nesso causale, omettendo peraltro, di valorizzare adeguatamente le conclusioni negative raggiunte in particolare, dai periti nominati dal giudice di primo grado e dai consulenti tecnici nominati nella parallela causa civile, con “immotivata preferenza” delle valutazioni, di carattere prettamente statistico, espresse dai consulenti tecnici della parte civile.
È principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità che l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base alle evidenze disponibili, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportino l’esito assolutorio del giudizio (Sez. Un. n. 30328/2002).
È stato anche affermato, più in generale che se ai fini dell’assoluzione dell’imputato è sufficiente il solo serio dubbio, in seno alla comunità scientifica, sul rapporto di causalità tra la condotta e l’evento, la condanna, deve invece, fondarsi su un sapere scientifico largamente accreditato tra gli studiosi, richiedendosi che la colpevolezza dell’imputato sia provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”. (Sez. 4, del 15/05/2018).
La pronuncia dei giudici di legittimità
Ebbene, i giudici della Terza Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 36435/2019) hanno accolto il ricorso dell’imputato ritenendo che la Corte d’appello avesse effettuato “una analisi incompleta e fondata su una illogica sottovalutazione in particolare, delle risultanze significativamente coincidenti, di elaborati tecnici d’ufficio pur svolti in differenti ambiti” (nel giudizio di primo grado e nel parallelo processo civile).
Mancava, in particolare, proprio alla luce di tali perizie, una adeguata risposta in ordine al dato pregiudiziale in esse rappresentato (ovvero la natura e le dimensioni del tumore già al momento della prima visita effettuata dall’imputato) prospettato dagli elaborati, come tale da rendere “indifferente “ all’esito la pur evidente inerzia dell’imputato quanto ai propri doverosi compiti medici.
Ebbene, dalla sentenza impugnata era emerso che in ragione delle dimensioni di cm. 7 che, incontestabilmente, il tumore presentava già al momento della prima ecografia effettuata dall’imputato, (tali cioè, da superare il limite discriminante di cm. 5 quale soglia prognostica di “non ritorno”), dell’elevatissima aggressività biologica della neoplasia e dell’assenza di risposta ai corretti trattamenti intrapresi, una diagnosi pur tempestiva non avrebbe influito in modo apprezzabile né sull’evoluzione della patologia né sull’esito letale e sulle aspettative di vita della paziente.
A tale conclusione erano giunti anche i consulenti tecnici nel parallelo processo civile per il risarcimento del danno.
Ebbene, “se è vero che il giudice può scegliere, tra le varie tesi prospettate dai periti e dai consulenti tecnici di parte, quella che maggiormente ritiene condivisibile, deve però illustrate le ragioni della scelta operata, in modo accurato attraverso un percorso logico e congruo, tanto più quando la scelta comporti la adesione alle conclusioni del consulente tecnico e non del perito”.
Ma nel caso in esame la corte milanese aveva preferito dare prevalenza ai dati offerti dal consulente della parte civile sulla base di un percorso non logico e anche contraddittorio senza cioè aver dato una corretta spiegazione al fatto che, ove l’imputato avesse posto in essere l’azione diagnostica e terapeutica colposamente omessa, l’andamento della malattia sino al suo esito letale avrebbe subito significativamente variazioni rispetto all’andamento in concreto tenuto.
Per tutti questi motivi, la decisione impugnata è stata annullata.
La redazione giuridica
Leggi anche:
MORTO PER UNA EMBOLIA POLMONARE, MEDICO ASSOLTO CON FORMULA PIENA