Soltanto la perpetua, proprietaria esclusiva del cane dovrà risarcire i danni al minore, caduto dopo essere stato inseguito dall’animale, appena uscito dalla messa

La vicenda

Gli esponenti avevano agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Vallo di Lucania, deducendo che un giorno, il proprio figlio minore all’uscita dalla celebrazione della messa presso il convento cittadino, era stato assalito da un cane che, uscito dalla porta del convento, gli aveva abbaiato e ringhiato contro, costringendolo alla fuga. In questi frangenti il bambino aveva preso in corsa una scalinata che conduceva dal convento ad una strada sottostante ed era caduto, riportando una seria frattura alla gamba destra, che aveva reso necessaria l’esecuzione di due interventi chirurgici.

Gli attori avevano chiesto, pertanto, il risarcimento dei danni sia al sacerdote, che aveva la responsabilità del convento, sia alla sua collaboratrice e proprietaria del cane.

In primo grado, l’adito Tribunale, disposta una CTU medico-legale e sentiti dei testi, rigettò la domanda nei confronti del sacerdote e condannò l’altra convenuta a risarcire il danno nella misura di Euro 5.486,10, pari al 50% del totale, stimando che, per il residuo 50%, la responsabilità del danno doveva essere eziologicamente ricondotta ad una imprudenza del bambino o ad altro elemento esterno, quale la conformazione delle scale.

Stesso esito in appello. La Corte d’Appello di Salerno ha sostanzialmente confermato, sull’an, la responsabilità della sola donna, escludendo che il sacerdote, in quanto responsabile del convento, potesse essere in qualche modo collegato alla custodia dell’animale, mentre sul quantum ha ritenuto di imputare alla prima l’intero obbligo risarcitorio, escludendo di poter attribuire valenza di concausa alla disattenzione del bambino o ad altri fattori integranti il fortuito.

La sentenza impugnata

La sentenza ha deciso il giudizio fondando la propria ratio decidendi sulla responsabilità ex art. 2052 c.c., incombente a titolo oggettivo sul proprietario o su chi abbia comunque un obbligo di custodia sull’animale.

La Corte d’Appello ha ritenuto che il fatto che il sacerdote avesse eventualmente tollerato la presenza del cane nell’abitazione della perpetua, sita nel convento, non dimostrava alcunché in ordine ad un presunto “uso” del cane da parte dello stesso, ai sensi dell’art. 2052 c.c..

Quanto alla graduazione della responsabilità il Giudice ha ritenuto che il criterio di imputazione della medesima ai sensi dell’art. 2052 c.c., non dovesse essere fondato sulla colpa ma sul rapporto di fatto con l’animale, con la conseguenza che, per i danni cagionati dall’animale al terzo, il proprietario risponde in ogni caso e “in toto” a meno che non dia la prova del caso fortuito, ossia dell’intervento di un fattore esterno idoneo ad interrompere il nesso causale tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo. Se la prova liberatoria non viene fornita, essendone onerato il convenuto che può riferirsi anche al comportamento del danneggiato quale causa scriminante la responsabilità del proprietario, il Giudice deve condannare quest’ultimo al risarcimento dei danni per l’intero.

La decisione

La Cassazione ha confermato la decisione della corte salernitana affermando che se è pur vero che l’art. 2052 c.c., configura una responsabilità oggettiva a carico del proprietario o dell’utilizzatore dell’animale, e che il danneggiato deve limitarsi a provare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e il danno, incombendo sul danneggiante la prova del fortuito è altresì vero che, in mancanza di un fattore esterno idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, comprensivo del fatto del terzo o del fatto colposo del danneggiato, la responsabilità resta imputata a chi si trova in relazione con l’animale perché ne è proprietario o perché ha comunque un rapporto di custodia sul medesimo.

Nella fattispecie in esame, la Corte di merito aveva accertato, con apprezzamento insindacabile in sede di legittimità, che il sacerdote era responsabile del convento ma che non aveva una apprezzabile relazione, anche solo di fatto, con l’animale, che potesse giustificare la sua responsabilità per omessa custodia del medesimo.

La redazione giuridica

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