Il giovane soffriva di una malattia congenita. Tra le accuse il mancato trasferimento presso un ospedale più attrezzato e alcuni errori compiuti presso il nosocomio in cui venne ricoverato

Presunto caso di malasanità in provincia di Lecce dove sette camici bianchi sono stati rinviati a giudizio per la morte di un giovane sedicenne risalente all’ottobre del 2014. Si tratta, nello specifico di una guardia medica, un medico di ambulanza, un operatore del pronto soccorso, due rianimatori, un internista e un neurologo. Gli imputati, su cui pende l’accusa di omicidio colposo, dovranno presentarsi a gennaio 2017 davanti al giudice monocratico della prima sezione penale della provincia salentina per l’inizio del processo.

La giovane vittima soffriva di un “idrocefalo post meningeo” ed era portatore fin dal primo anno di età del cosiddetto “acquedotto di Silvio”, una “derivazione ventricolo peritoneale”. La mattina prima del decesso venne visitato, a seguito di un malore, da un medico di base che gli prescrisse una fiala di plasil e alcuni accertamenti. Il camice bianco è l’unico degli iscritti nel registro degli indagati nei confronti del quale il giudice ha disposto, lo scorso maggio, il non luogo a procedere in quanto intervenne in una fase in cui il paziente manifestava solo senso di nausea e un leggero mal di testa.

Nell’udienza della scorsa primavera venne invece richiesto un supplemento di inchiesta per gli altri sanitari indagati, che ha poi portato al loro rinvio a giudizio nelle scorse ore. Dopo la prima visita, infatti, il sedicenne venne visitato durante la notte dalla guardia medica, che, pur a conoscenza della patologia dell’adolescente, avrebbe sottovalutato alcuni “segnali” più preoccupanti rispetto alle precedenti ore. Anche in questo caso il medico si sarebbe limitato a un’iniezione di Plasil e a “raccomandare” l’assunzione di molta acqua.

Alcune ore dopo, a fronte del peggioramento delle sue condizioni, i genitori del ragazzo chiesero l’intervento del 118 specificando la volontà che il paziente venisse portato all’Ospedale di Lecce. Ma il medico dell’ambulanza, anch’egli al corrente della patologia da cui era affetto il giovane, avrebbe sbagliato diagnosi, ordinando il ricovero presso l’Ospedale di Casarano, sprovvisto del reparto di Neurochirurgia.

Anche gli altri medici che ebbero in carico il giovane presso il nosocomio, secondo quanto emerso dalla perizia medico legale, non sarebbero esenti da responsabilità. Tra i presunti errori vi sarebbe la realizzazione, presso il reparto di Rianimazione, di una puntura lombare; una procedura controindicata in presenza di “ipertensione endocranica ingravescente” che avrebbe condotto a un peggioramento del quadro clinico del ragazzo favorendo “l’incuneamento delle tonsille cerbellari”. Anche la risonanza magnetica che evidenziò tale aspetto, secondo l’accusa, sarebbe stata svolta con grave ritardo. Quando il personale sanitario si rese conto della necessità del trasferimento del ragazzo era già troppo tardi. Il giovane, trasferito a Lecce, sarebbe infatti deceduto poche ore dopo.

 

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