Moto contro cinghiale, è responsabile il Parco Regionale?

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Il motociclista ritiene responsabile del sinistro cagionato dallo scontro con un cinghiale il Parco Regionale dei Castelli Romani, in qualità di ente utilizzatore.

Il Tribunale accoglie la domanda del danneggiato. In Appello la decisione viene ribaltata e la Corte di Cassazione conferma la responsabilità del Parco Regionale essendo l’utilizzatore dell’area.

Ferma la titolarità passiva della Regione per i danni provocati dalla fauna selvatica, in ipotesi di pluralità di proprietari o utilizzatori il criterio è quello della soggezione solidale alla responsabilità da parte di tutti i soggetti (Cassazione Civile sez. III, 02/02/2024, n.3158).

La vicenda

In data 20 ottobre 2008 il motociclista, per l’attraversamento di un cinghiale selvatico, in prossimità del KM 4+400 di Via Pratoni del Vivaro, nel Comune di Rocca di Papa (RM), subiva ingenti danni al veicolo e lesioni personali e invocava la responsabilità del Parco regionale dei Castelli Romani ai sensi e per gli effetti degli artt. 2051 e 2052, ovvero, in subordine ai sensi dell’art. 2043 c.c.

Il Tribunale di Velletri, con sentenza n. 798/2014, dichiarava in parte inammissibile e in parte infondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Parco regionale. Inoltre accertava che il sinistro stradale era riconducibile all’esclusiva responsabilità del Parco medesimo e, tenuto conto dell’indennità corrisposta all’attore dall’INAIL in conseguenza del suddetto sinistro, condannava il convenuto, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, al pagamento del danno (patrimoniale e non patrimoniale) differenziale, della somma di 93.710,78 euro.

La corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 3170/2020, in riforma della sentenza impugnata ha ritenuto ammissibile l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, sollevata dal Parco regionale. Quindi ha ritenuto detta eccezione fondata, in quanto ha ritenuto non provato né la titolarità passiva del rapporto controverso in capo all’Ente Parco e neppure che allo stesso spetti il compito di porre in essere misure adeguate (in quanto a tanto delegato ovvero in quanto rientranti nelle competenze di sua diretta titolarità) per il contenimento della fauna selvatica.

Conseguentemente, la Corte di Appello rigettava la domanda risarcitoria attorea, compensando tra le parti le spese relative ad entrambi i gradi di giudizio.

Il ricorso in Cassazione

Successivamente, la Cassazione dà atto che il Giudice di primo grado aveva accertato il concreto comportamento colposo imputato all’Ente Parco sulla base dei seguenti elementi:

  • a detto ente era stata affidata l’amministrazione e la gestione delle attività e del territorio del parco istituito con legge regionale 13 gennaio 1984, n. 2.
  • il luogo del sinistro era abitualmente frequentato da animali selvatici ed in particolare da cinghiali. Tale circostanza aveva allertato le autorità preposte, come si evinceva dagli articoli della stampa locale prodotti dall’attore, relativi al periodo maggio giugno 2009, in cui si faceva riferimento all’iniziativa posta in essere proprio dal Parco convenuto, a sostegno dei cittadini che avevano subito danni provocati dalla fauna selvatica, con particolare riferimento all’aggiornamento del regolamento.
  • Il Parco aveva preannunciato l’acquisto di apposita recinzione con dispositivo elettrico a basso voltaggio, idonea a spaventare gli animali. Proprio nella zona del Vivaro (Rocca di Papa), tra le altre, era stata individuata dai Tecnici dell’Ufficio Tutela Ambientale l’area su cui la fauna selvatica provocava il maggior numero di danni.
  • Il tratto di strada in cui si era verificato il sinistro (via Pratoni del Vivaro, altezza km 4 + 400), alla data dello stesso, era sprovvisto di illuminazione, di barriere delimitanti il ciglio della campagna circostante e di strumenti atti ad impedire l’attraversamento da parte di animali, oltre ad essere percorsa, da entrambi i lati, “da un ciglio infestato da vegetazione”.

Le Regioni sono gli enti responsabili nei sinistri causati da animali selvatici

In sintesi, se è vero che risulta pacifico che la Cassazione ha ritenuto di identificare nelle Regioni gli enti responsabili nei sinistri causati da animali selvatici, in quanto soggetti utilizzatori, la cui utilizzazione si sostanzia nella tutela, gestione e controllo della fauna selvatica, al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l’ambiente e l’ecosistema, ciò non vuol dire che vada escluso del tutto che gli enti utilizzatori possano essere più di uno, con conseguente soggezione solidale alla responsabilità da parte di tutti i soggetti.

I Giudici di Appello hanno fatto riferimento all’applicazione della responsabilità ex art. 2052 c.c., in conformità del principio di diritto affermato (Cass. n. 7969/2020) e dichiarando la responsabilità della Regione quale soggetto utilizzatore della fauna selvatica, ha escluso a priori una responsabilità solidale di altri soggetti utilizzatori (e, quindi, una responsabilità dell’Ente Parco).

Gli enti utilizzatori possono essere più d’uno, in regime di solidarietà tra loro: invero, l’art. 2052 c.c. individua la responsabilità non solo in capo al proprietario dell’animale, ma, in via alternativa, anche in capo a “chi se ne serve per il tempo determinato in cui lo ha in uso“, quindi, in capo all’utente o utilizzatore; d’altra parte, in ipotesi di pluralità di proprietari o utilizzatori il criterio è quello della soggezione solidale alla responsabilità da parte di tutti i soggetti.

Pacifico tale errore compiuto dai Giudici di Appello, una volta disattesa (sia pure in base ad una premessa in diritto erronea,) la domanda spiegata ai sensi dell’art. 2052 c.c., gli stessi hanno omesso di pronunciarsi sulla domanda proposta ex art. 2043 c.c., che era stata proposta in via subordinata in atto di citazione da parte attorea, ed era stata accolta dal Giudice di primo grado. In buona sostanza, la Corte territoriale ha ritenuto di dover inquadrare la fattispecie nell’alveo dell’art. 2052 c.c., ma ha erroneamente ritenuto (sia pure implicitamente) che in tutti i casi di sinistri provocati dalla fauna selvatica si debba necessariamente applicare l’art. 2052 c.c.

Il rapporto tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 2052 c.c.

Al riguardo, viene ribadito che il rapporto tra l’art. 2043 c.c. e l’art. 2052 c.c. è un rapporto di genere a specie, nel senso che tutte le ipotesi speciali previste nel titolo IX del libro IV del codice civile sono fatti illeciti ex art. 2043 c.c., che costituisce il genus in cui si trovano incasellate tutte le species di danno da fatto illecito e del quale sono una specificazione.

Sicché, di fronte ad un fatto illecito, nulla impedisce al danneggiato di agire ex art. 2043 c.c. anche quando la fattispecie potrebbe essere ricondotta, ad esempio, all’ipotesi di danno da cose in custodia o di danno cagionato da animali. In altri termini, se è indubbio che, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, in caso di danni provocati dalla fauna selvatica è possibile invocare la fattispecie di cui all’art. 2052 c.c. (e in queste ipotesi la titolarità passiva spetta alla Regione, in quanto utilizzatore, come sopra già rilevato), è altrettanto indubbio che il danneggiato conserva la facoltà di agire ex art. 2043 c.c. nei confronti dell’autore, di colui cioè che con colpa o dolo ha posto in essere una azione o una omissione foriera di un danno ingiusto altrui.

Nel caso di specie il danneggiato aveva chiesto la conferma della pronuncia di primo grado e la Corte territoriale, una volta esclusa la responsabilità del Parco ex art. 2052 c.c. (come detto in base ad un presupposto in diritto non corretto) avrebbe dovuto verificare se in ipotesi fosse possibile attribuire allo stesso Ente una responsabilità ex art. 2043 c.c.

Per tali ragioni la Cassazione rinvia alla Corte d’appello di Roma che dovrà procedere a nuovo esame utilizzando i menzionati principi.

Avv. Emanuela Foligno

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