Omicidio colposo per negligenza, imprudenza e violazione delle tassative indicazioni impartite dal personale sanitario dell’ospedale: nessun dubbio sulla responsabilità penale dell’imputata che non avrebbe dovuto consentire al marito sedato, di scendere dal letto per andare in bagno
La vicenda
La Corte di appello di Palermo aveva confermato la sentenza di primo grado che, in sede di rito abbreviato, aveva dichiarato l’imputata responsabile del reato di omicidio colposo dell’anziano marito commesso, “per negligenza, imprudenza e contravvenendo alle tassative indicazioni impartite dal personale sanitario dell’ospedale ove quest’ultimo era ricoverato”.
Da quanto accertato, la donna aveva rimosso la barriera protettiva posta sul lato del letto, facendo scendere il marito per recarsi in bagno, in violazione di quanto prescritto da infermieri e medici di guardia. Tutto era avvenuto senza richiedere l’assistenza di un infermiere, e senza fornire all’anziano marito l’adeguata assistenza, che, per ben due volte nel corso della nottata, cadeva rovinosamente a terra, procurandosi una frattura sottocapitata del femore sinistro, da cui derivava una gravissima emorragia interna post-traumatica che ne determinava, infine, il decesso.
Contro tale sentenza il difensore dell’imputata ha proposto ricorso per Cassazione lamentando la violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato.
I motivi di ricorso
A detta della difesa la responsabilità della sorveglianza e cura dell’ammalato non poteva farsi ricadere sulla moglie, rumena, la quale era stata lasciata ad assistere il marito da sola, nonostante la presenza in loco del personale infermieristico.
Difettava, inoltre, sempre ad avviso della difesa, una valutazione in ordine al profilo più personale della scusabilità, o della non esigibilità, dal momento che l’evento si era verificato all’interno di una stanza di un ospedale alla presenza di personale infermieristico e medico di turno non avvisato. La donna voleva pulire il marito senza disturbare il personale ospedaliero e per fare ciò aveva dovuto togliere le sbarre di protezione, non riuscendo, tuttavia, più a trattenerlo, il quale cadeva scivolando per terra (intorno all’una di notte).
Ma tali argomenti non hanno convinto i giudici della Suprema Corte (Cassazione, Quarta Sezione Penale, sentenza n. 11536/2020) che hanno rigettato il ricorso, confermando la motivazione della sentenza impugnata, in quanto “congrua e logica in punto di colpa, ed esente da errori di diritto rilevabili in Cassazione”.
La responsabilità penale dell’imputata
I giudici di merito, in proposito, avevano ben evidenziato l’imprudenza e la negligenza dell’imputata nel consentire al marito sedato di scendere dal letto per andare in bagno, nonostante i sanitari le avessero chiaramente detto di non abbassare le sbarre di protezione del letto e di non farlo scendere per nessuna ragione. La donna aveva, invece, deliberatamente rimosso le protezioni e l’uomo, irrequieto e scomposto nei movimenti, oltre che ancora sotto il parziale effetto dei farmaci tranquillanti, si era mosso da solo verso il bagno, cadendo tutte e due le volte e procurandosi, con la seconda caduta, la frattura che ne aveva determinato il decesso.
La difesa, al riguardo, aveva fatto appello ad «una generica inesigibilità nei suoi confronti di doveri che avrebbero dovuto ricadere sul personale sanitario»; mentre i giudici di merito avevano, correttamente, ricondotto la colpa della imputata ad una condotta contraria ad una elementare regola di prudenza – di cui la stessa era stata resa edotta – e che le imponeva, nell’occasione, di non abbassare le sbarre di protezione del letto nel quale si trovava il coniuge; del resto, per qualsiasi esigenza che si fosse presentata, la stessa avrebbe potuto, eventualmente, chiedere (e pretendere) l’assistenza del personale infermieristico di turno.
La condanna per omicidio colposo
Infine, è stato ritenuto irrilevante e pretestuoso il richiamo difensivo alla presunta «condotta colposa di medici e infermieri», essendo stato inconfutabilmente accertato che l’imputata avesse determinato (colposamente) un rischio (caduta e frattura) da cui era conseguito l’evento (emorragia e morte), rispetto al quale l’operato dei medici aveva avuto, al più, un ruolo concausale, “trattandosi di un’unica sequenza causale che ha comportato l’evoluzione (in senso peggiorativo) del medesimo rischio” (Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, sentenza n. 11536/2020).
La redazione giuridica
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