Un’azione “ritorsiva e gratuitamente violenta”, quella posta in essere dall’imputato nei confronti della vittima. La Cassazione ha confermato la condanna per omicidio doloso: neppure la nuova legge sulla legittima difesa lo avrebbe “salvato”
La vicenda
La Corte di assise di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, aveva confermato la sentenza di condanna pronunciata, all’esito di giudizio abbreviato, a carico dell’imputato, ritenuto colpevole dei reati di omicidio doloso, lesioni personali e minacce.
In primo grado l’uomo era stato condannato alla pena di quattordici anni e quattro mesi di reclusione, con le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale, sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, e la condanna al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, alla base della condotta omicidiaria, individuata nella forma del dolo d’impeto, vi sarebbe stata la vista, da parte dell’imputato, del suo vicino all’interno della propria azienda di allevamento. Tale dolo, secondo i giudici di merito, non avrebbe escluso la lucidità dell’agente, il quale aveva agito facendo un uso illimitato della violenza e delle armi che si era procurate, così dando sfogo al precedente e duraturo sentimento di grave inimicizia che nutriva nei confronti della vittima.
In tale prospettiva i giudici di merito avevano escluso sia l’eccesso colposo di legittima difesa, sia l’attenuante della provocazione.
Ebbene, la Prima Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 39977/2019) ha confermato la sentenza impugnata perché coerente e immune da vizi.
Alla prospettazione difensiva dell’evenienza dell’eccesso colposo di legittima difesa, per essersi mosso l’imputato con lo specifico intento di difendere i suoi beni e la sua proprietà dai furti eventualmente messi in essere dalla vittima, il primo giudice aveva obiettato che erano carenti i presupposti della scriminante, in quanto gli elementi di prova accertati e valutati – in particolare, l’esame autoptico della salma, l’ispezione personale dell’imputato e gli accertamenti tecnici del R.I.S. – avevano dimostrato che la morte della vittima era stata conseguenza di una condotta reattiva da parte dell’imputato che aveva determinato il superamento sicuro, cosciente e volontario dei limiti imposti da una – peraltro soltanto eventuale – necessità di difesa.
L’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della legittima difesa, anche per gli effetti inerenti al corrispondente eccesso colposo, era stata sottolineata anche dalla Corte di merito, la quale aveva evidenziato la sproporzione evidente tra l’eventuale offesa, costituita dall’ingresso nel terreno altrui al dedotto scopo furtivo, e la reazione messa in essere, consistita nel violento e brutale pestaggio a mano armata, in una situazione agevolmente fronteggiabile in modo diverso, sia con la semplice richiesta di intervento delle forze dell’ordine, sia con la desistenza, lasciando il luogo e chiamando rinforzi per bloccare l’avversario, ritenuto abigeatario sorpreso in loco.
Ebbene la Corte di Cassazione ha confermato la ricostruzione operata dai giudici di merito, ritenendo che le censure difensive non avessero colto nel segno.
È infatti consolidato il principio secondo cui non è invocabile la legittima difesa da parte di colui che accetti una sfida ponendosi volontariamente in una situazione di inevitabile pericolo per la propria incolumità, fronteggiabile solo con l’aggressione altrui (Sez. 1, n. 56330 del 13/09/2017; Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013 ; Sez. 1, n. 4874 del 27/11/2012).
Oltre a tale, già dirimente, argomento, i giudici di merito avevano congruamente aggiunto la considerazione che nel caso in esame era emersa anche l’assenza del requisito della proporzione, essendo stato leso il bene fondamentale della vita della vittima, non commensurabile con il bene della proprietà dell’imputato, violata dall’ingresso in essa da parte del confinante, e, almeno nell’idea fattasi dall’imputato, dall’intenzione di quest’ultimo di compiere abigeato in danno del proprietario.
Il requisito della proporzione tra offesa e difesa viene meno, infatti, quando emerge il conflitto fra beni eterogenei e la consistenza dell’interesse leso (la vita della persona) sia molto più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali, di quello difeso (l’integrità della proprietà del fondo e dell’allevamento o anche la mera integrità fisica: Sez. 1, n. 47117 del 26/11/2009, Carta, Rv. 245884), e il danno inflitto con l’azione difensiva, vale a dire la morte del ritenuto offensore, abbia un’intensità e un’incidenza di gran lunga superiore a quella del danno minacciato.
La legittima difesa alla luce delle recenti modifiche legislative
Né a una diversa conclusione – hanno aggiunto gli Ermellini – può giungersi alla luce delle modifiche legislative in materia di legittima difesa (L. 28 aprile 2019, n. 36, art. 1, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 3 maggio 2019).
La condotta dell’agente non poteva in alcun modo essere ricompresa nella scriminante in parola, dal momento che l’aggressione violenta e senza limiti, attuata a scopo ritorsivo dell’imputato non era stata preceduta da alcuna intrusione con violenza o con la minaccia nel senso previsto dalla nuova disposizione, in tal caso ponendosi quale antecedente causale specifico della descritta azione “ritorsiva e gratuitamente violenta”.
Al riguardo, è stato più volte ribadito che non può essere configurato l’eccesso colposo previsto dall’art. 55 c.p. in mancanza di una situazione di effettiva sussistenza della singola scriminante, di cui si eccedono colposamente i limiti (v. Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013; Sez. 5, n. 26172 del 11/05/2010).
Infondata è stata giudicata anche la censura relativa al mancato riconoscimento della provocazione.
Avv. Sabrina Caporale
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