La mancata prova del carattere di abitualità delle condotte ha salvato l’operatore socio sanitario (OSS), accusato di maltrattamenti ai danni degli anziani di una casa di cura, dall’applicazione della misura cautelare del divieto di dimora

La vicenda

Il Tribunale di Catanzaro aveva confermato la misura cautelare del divieto di dimora, disposta dal Gip dello stesso tribunale, a carico di un operatore socio sanitario (OSS), accusato, insieme ad altri dipendenti della medesima casa di cura, del delitto di maltrattamenti ai danni di alcuni anziani ivi ricoverati e a loro affidati per ragioni di assistenza e di cura.

Ad incastrare l’OSS erano state le immagini videoregistrate da una telecamera collocata dal personale della polizia giudiziaria all’interno della struttura. I video avrebbero confermato gli specifici accadimenti contestati: gratuite umiliazioni, atteggiamenti severi e mortificanti nei confronti dei degenti e una generale e deliberata indifferenza verso i loro bisogni più elementari.

Il ricorso per Cassazione

Avverso tale ordinanza l’indagato ha presentato ricorso per cassazione, deducendo la violazione di legge, nonché il vizio di motivazione per avere il Tribunale erroneamente confermato il provvedimento genetico della misura cautelare, nonostante le carte del procedimento non avessero dimostrato l’esistenza del requisito della abitualità dei presunti comportamenti di maltrattamento e non fosse stata fornita una prova adeguata in ordine all’esistenza dei tre episodi di violenza a lui contestati.

Il motivo è stato accolto.

I giudici della Sesta Sezione Penale della Cassazione (43649/2019) hanno ritenuto fondate le doglianze difensive dal momento che la motivazione del provvedimento gravato era del tutto carente con riferimento alla corretta qualificazione giuridica dei fatti accertati.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che “ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 572 c.p., l’esistenza, in una casa di cura e ricovero per anziani, di un generalizzato clima di sopraffazione e violenza nei confronti degli assistiti non esime dalla rigorosa individuazione dei distinti autori delle varie condotte, in quanto il carattere personale della responsabilità penale impedisce che il singolo addetto, in mancanza di addebiti puntuali che lo riguardano, possa essere chiamato a rispondere, sia pure in forma concorsuale, del contesto in sé considerato, anche nel caso in cui da tale contesto egli tragga vantaggio” (Sez. 6, n. 7760 del 10/12/2015).

La pronuncia della Cassazione

Alla stregua di tale regula iuris, i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto che, nel caso in esame, gli argomenti impiegati dal Tribunale di Catanzaro per sostenere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, in ordine al delitto addebitatogli, fossero del tutto incerti ed inconcludenti.

A fronte dei tre specifici episodi di gratuita violenza (consistiti nell’aver sferrato schiaffi ai degenti), la Corte di merito da un lato, aveva omesso di chiarire da quali dati informativi avesse desunto il carattere di abitualità delle condotte; dall’altro, aveva riferito all’indagato i comportamenti tenuti da altri operatori dell’ospizio, senza precisare in quale maniera ed in quale forma tali ulteriori episodi lo avessero visto coinvolto, ovvero se questi avesse altrimenti concorso, se del caso anche con condotte omissive, nella realizzazione di quei maltrattamenti.

Per queste ragioni l’ordinanza impugnata è stata annullata con rinvio al Tribunale dei Catanzaro per nuovo esame.

La redazione giuridica

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