Per gli Ermellini, la condotta del parcheggiatore abusivo che, minacciando l’automobilista, compia atti diretti a costringerlo a dargli denaro non dovuto, integra il reato di estorsione.

Con la recente pronuncia n. 30365/2018 la Cassazione si è espressa sulla possibilità, per un parcheggiatore abusivo che minacci un automobilista costringendolo a pagarlo, di essere accusato del reato di estorsione.

Secondo gli Ermellini, infatti, il comportamento del parcheggiatore abusivo che, minacciando di un male ingiusto l’automobilista compia atti idonei diretti in modo non equivoco a costringerlo a dargli denaro non dovuto per un ingiusto profitto, integra il reato di estorsione.

La vicenda

Nel caso di specie, la Corte si è espressa sul ricorso contro la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte di Appello di Salerno. Questa confermava la condanna del parcheggiatore abusivo per estorsione. E questo, a seguito dell’affermazione “devi darmi 2 euro per il parcheggio”. Oltre che della successiva minaccia “se non mi dai i soldi (…) ti rompo la macchina”.

La sentenza in commento, per la prima volta, ha sancito la configurabilità del reato di estorsione per la condotta del parcheggiatore abusivo che non si limiti a chiedere denaro bensì minacci l’automobilista.

Come noto, l’art. 629 del codice penale disciplina l’estorsione. Essa consiste nel reato commesso da chi, mediamente violenza o minaccia, costringendo taluno a fare qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.

Tale condotta può, dunque, consistere in un’intimidazione nei confronti di qualcuno per fargli tenere determinati comportamenti attivi come, nel caso di specie, la datio di una somma di danaro.

Ricordano gli Ermellini che l’evento che consegue alla condotta estorsiva è quadruplice e consiste in quattro aspetti specifici.

In primis, nella coazione relativa. Dunque, la minaccia personale o reale devono condizionare la volontà della vittima.

L’estorsione si esplica poi nel compimento dell’atto di disposizione, consistente in un dare patrimoniale. Così come nel danno altrui e nel profitto ingiusto realizzato essendo assente un’utilità esorbitante o non dovuta.

Un punto interessante della sentenza è che la Corte ritenga “del tutto irrilevante” che l’automobilista “non si sia sentito intimidito” dalla minaccia. E questo nonostante la coazione relativa appare essere un evento conseguente alla condotta estorsiva.

Analizzando il delitto di violenza privata, esso è sancito, invece, dall’art. 610 c.p.. Esso punisce chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare qualche cosa.

Questo reato è definito “sussidiario”. Ovvero “è ravvisabile ogni qualvolta non si configuri, per quel determinato fatto, una diversa qualificazione giuridica”.

La minaccia consiste in un comportamento “idoneo ad incutere timore e suscitare preoccupazione di un danno ingiusto”. Il tutto, al fine di spingere il soggetto passivo “a fare qualcosa”.

Alla luce di quanto enunciato, gli Ermellini hanno ritenuto che nel caso di specie non possa configurarsi il reato di violenza privata proprio per la sua stessa natura di delitto-sussidiario rispetto all’estorsione. Essa infatti si differenzia da quest’ultima per l’assenza di ingiusto profitto che la Suprema Corte ha scorto nella richiesta di una somma di denaro non dovuta.

 

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