Pedone percorre la strada provinciale e viene investito mortalmente

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Investimento del pedone e interruzione del nesso causale

Viene lamentata la errata applicazione dell’art. 1227 cc, con conseguente colpa del 20%, in capo alla conducente del veicolo il pedone sulla strada provinciale.

Il conducente del veicolo chiama dinanzi al Giudice di Pace di Treviso i congiunti del pedone deceduto esponendo di averlo investito in data 21 aprile 2016, mentre era alla guida della propria autovettura lungo la strada Provinciale denominata “Pedemontana del Grappa”.

Il pedone percorreva la strada provinciale nello stesso senso di marcia dell’autovettura, aveva iniziato l’attraversamento della carreggiata da destra verso sinistra rispetto alla direzione dell’autovettura. A seguito dell’impatto, riportava gravi danni ed era deceduto, mentre la collisione aveva altresì provocato ingenti danni alla parte anteriore sinistra dell’autovettura di cui l’attore chiede il ristoro.

Il Giudice (sent n. 519 del 2020), stimando nel 20% il grado di colpa imputabile alla conducente, per non aver ridotto la velocità pur avendo potuto avvistare il pedone, accoglie parzialmente la domanda, liquidando in favore del medesimo la somma di 3.360 euro per i danni materiali.

L’Appello per l’erronea attribuzione del 20% di colpa del conducente

Il Tribunale di Treviso, pronunciandosi in grado di appello, rigetta entrambi gli appelli, confermando la sentenza di primo grado e compensando le spese.

In buona sostanza, viene ritenuto che la conducente de veicolo avesse omesso di rispettare quanto prescritto dall’art. 141/2 del CdS, sulla velocità da tenere nel tratto stradale di riferimento in presenza di un pedone (che avrebbe potuto avvistare) ma che anche il pedone avesse concorso in misura rilevante alla produzione del sinistro, esponendosi ad una situazione di pericolo, percorrendo la strada nello stesso senso di marcia dell’autoveicolo investitore e attraversando la carreggiata all’improvviso e senza guardare i veicoli che sopraggiungevano, come confermato dai testimoni oculari.

La questione finisce in Corte di Cassazione che respinge integralmente.

Viene lamentata la errata applicazione dell’art. 1227 cc facendo riferimento al fatto che, qualora la situazione concretamente verificatasi sulla strada, per effetto della presenza del pedone, fosse stata di tale evidenza da poter essere superata con l’uso della normale diligenza, non avrebbe poi potuto essere ritenuto giuridicamente responsabile dell’incidente il conducente del veicolo.

L’errore del conducente

Nella fattispecie la conducente, avvistato, già alla elevata velocità di 90km/h ovvero a quella massima consentita dalla strada provinciale, un runner, a 150 mt avanti a sé, sul margine destro della sua stessa carreggiata, peraltro avendone scorto tutti i movimenti in provenienza da un tratturo laterale destro, col conseguente preoccupante suo riposizionamento indebito che finiva per darle le spalle, nel mentre continuava a correre lungo la di lei medesima direzione (in spregio al precetto dell’art.190 comma 2 CdS che lo voleva dall’altra parte della strada).
Doveva costituire una situazione fattuale tale da dover obbligatoriamente suscitare, in essa, un immediato allarme, sensoriale e comportamentale, per la possibilità che quello, occupandole già una parte della corsia, gliela potesse anche repentinamente attraversare (magari sperando fosse ancora libera), qualora avesse voluto portarsi nella giusta posizione sull’opposta corsia (considerando come quella appena occupata non si fosse ancora stabilizzata, dato che l’immissione era stata di qualche secondo prima). E che un tanto avrebbe dovuto costringerla ad agire – in ogni maniera possibile – per mettere l’utente non motorizzato in una reale protezione.

Il conducente avrebbe potuto rallentare

In tale contesto, l’avere la conducente omesso di compiere la manovra più elementare, consistente in un immediato rallentamento, avendo invece scelto di mantenere la stessa velocità consentita ex art. 142 CdS, in alternativa al doveroso rallentare – sfrecciare imprudentemente accanto alla sua vittima, senza la benché minima ideazione di un ripiego di emergenza, non avrebbe che dovuto tradursi nella sua esclusiva responsabilità, proprio in considerazione del fatto che si era trattato di un investimento assolutamente evitabile e colpevolmente non evitato.

La sentenza del Tribunale ha, invece, confermato erroneamente, nella ricostruzione dei ricorrenti, la prevalente – per non dire quasi integrale – causalità del pedone già quantificata.

Il Tribunale ha, infatti, rilevato che, trattandosi di un caso di investimento di pedone, opera la presunzione di colpa del conducente del veicolo investitore prevista dall’art. 2054, 1 comma c.c. Ma la presunzione di colpa in capo al conducente non opera in contrasto con il principio della responsabilità da fatto illecito fondata sul rapporto di causalità tra evento dannoso e condotta umana, nel senso che, se il conducente del veicolo non ha fornito la prova idonea a vincere la suddetta presunzione, non è preclusa l’indagine da parte del Giudice di merito in ordine al concorso colposo del pedone investito; di conseguenza, allorquando siano accertate la pericolosità e l’imprudenza della condotta del pedone, la colpa di questo concorre, a norma dell’art. 1227 comma 1 c.c., con quella presunta del conducente del veicolo investitore.

La responsabilità civile da sinistri derivati dalla circolazione stradale

La doglianza viene tacciata di inammissibilità poiché tende a una rivalutazione in fatto che ha condotto a non escludere la responsabilità del conducente, per non aver verosimilmente ridotto la velocità avendo avvistato il pedone, ma nel ritenere comunque la preponderante responsabilità del pedone per essere apparso improvvisamente sulla traiettoria del veicolo, per aver attraversato in modo repentino la strada senza neppure accertarsi di ciò che avveniva dietro di lui.

Ebbene. l’accertamento svolto è conforme alla giurisprudenza secondo cui “In materia di responsabilità civile da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, in caso di investimento di pedone la responsabilità del conducente è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest’ultimo alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione, questa, ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicche l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti. Tanto si verifica quando il pedone appare all’improvviso sulla traiettoria del veicolo che procede regolarmente sulla strada, rispettando tutte le norme della circolazione stradale e quelle di comune prudenza e diligenza incidenti con nesso di causalità sul sinistro”.

Con altra censura viene sostenuta la inusuale ripartizione numeraria adottata (20-80%), e che non è dato rinvenire alcuna esplicitazione riguardo o quale potesse essere stato il criterio logico tenuto presente dal Giudice, essendo il quadro argomentativo formato solo da una serie di violazioni, attribuite ora ad una parte e ora all’altra e poi dalla pretesa sintesi finale che riteneva, del tutto apoditticamente, invocando i poteri dell’art. 1227 comma 1 c.c.

Anche questa cesura non è ammissibile in quanto finalizzata a contestare un vizio motivazionale in presenza di pronuncia cd. “doppia conforme” (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 11 marzo 2025, n. 6526).

Il conducente non ha tenuto una velocità consona

Ebbene, il Giudice di Pace ha contestato alla conducente del veicolo di non avere tenuto una velocità consona al fatto che vi era un pedone a bordo strada, ritenendo che tale circostanza fosse tale da far presagire una situazione di allarme e fosse quindi tale da indurre l’automobilista a ridurre la velocità permettendole, così, di controllare il mezzo ed evitare l’impatto, senza tuttavia soffermarsi sul nesso di causalità tra la violazione attinente la mancata regolazione della velocità e l’evento.

La deduzione secondo cui il veicolo avrebbe dovuto regolare la propria velocità non emerge da alcun atto, testimonianza o documento di causa. Nemmeno è mai emersa nel corso del procedimento penale a carico della donna conclusosi con l’archiviazione. Anzi, dagli atti e documenti citati, emergerebbero delle circostanze diametralmente opposte: la condotta tenuta dal pedone, che correva lungo il margine destro della carreggiata, l’attraversamento eseguito dal pedone, avvenuto in maniera così repentina e l’impatto così immediato che non vi è stato nemmeno il tempo di frenare. Il pedone e l’automobilista erano ad una distanza così ravvicinata che, al momento dell’attraversamento, qualsiasi velocità avesse tenuto l’automobile l’evento si sarebbe comunque verificato.

Viene osservato difatti che, se nel processo penale è necessario che l’accusa dimostri anche come il precetto violato avrebbe potuto evitare in concreto l’evento, ciò non accade nel processo civile, nel quale tale tipo di valutazione controfattuale può essere necessaria solo per le colpe cosiddette generiche, ma non certo anche per quelle specifiche per le quali la valutazione di causalità è già stata fatta dal legislatore, che le impone proprio sul presupposto che esse siano utili e sufficienti per evitare i sinistri per la cui prevenzione esse sono state poste.

Il danno da circolazione veicolare

Il danno da circolazione veicolare è allocato presuntivamente dall’art.2054 comma 1 c.c. a carico risarcitorio del conducente, sempre che questi non provi di avere fatto tutto il possibile per evitarlo, compreso anche il mettere in sicurezza – anche oltre il rispetto delle norme positive – una persona che stia per entrare in contatto con il raggio d’azione del veicolo guidato e ciò senza che vi siano – per il danneggiato – altri oneri probatori (salvo quelli per i danni conseguenza) che comprovare la provenienza dell’evento dalla circolazione di quel veicolo.

La decisione di appello ha confermato la presunzione di colpa del primo comma dell’art.2054 c.c., salvo a ridurne l’incidenza in concreto al 20% (come già fatto dal Giudice di Pace), per effetto dell’emersione delle colpe del pedone, non senza sottolineare come l’esenzione dalla responsabilità ci sarebbe stata solo se la conducente avesse provato che si fosse trovata nell’oggettiva impossibilità di osservarne tempestivamente i movimenti, cosa certo non ricorrente nella fattispecie.

Avv. Emanuela Foligno

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