Il socio della società di persone può far valere direttamente nei confronti del terzo danneggiante il subito danno, consistente nella perdita della sua quota parte di utili della società. La Cassazione si esprime sulla sovrapposizione dei concetti di perdita di capacità lavorativa e perdita di chance (Cassazione civile, sez. III, 12/06/2024, n.16421).
La vicenda
La danneggiata lamenta la errata sovrapposizione della perdita di capacità lavorativa e della perdita di chance che ha fatto la Corte di Appello. Su questo presupposto, i giudici di secondo grado non le avevano riconosciuto il danno patrimoniale relativo al mancato guadagno da essa ritratto dalla B. Sas, della quale era socia accomandante.
La Corte di Cassazione (n. 29829/2018) cassava la sentenza d’appello, rinviando la causa alla stessa corte territoriale in diversa composizione.
La Corte d’appello di Venezia (sent. n. 3347/2020), decidendo in sede di rinvio, ha di nuovo rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, per mancato percepimento di utili dalla B. Sas.
Il secondo ricorso in Cassazione
Gli Ermellini richiamano alcuni stralci della loro rescindente 2989/2018. Dopo aver premesso che “È rimasto nel caso accertato che la società B Sas è stata posta in liquidazione a seguito della totale incapacità lavorativa dell’unico prestatore d’opera derivante dal sinistro stradale per cui è stata causa” ha indicato i seguenti principi inerenti il ristoro del danno patrimoniale derivante dal mancato percepimento degli utili di una società di persone:
- “con riferimento alle società di persone – e in particolare alla società come nella specie in accomandita semplice – in caso di illecito commesso nei confronti della medesima da un terzo, ben può il socio – anche accomandante – fare autonomamente valere la propria pretesa al risarcimento del danno subito in ragione della percezione di un minor utile conseguente alla produzione di un minor reddito da parte della società (v. Cass., 17/12/1990, n. 11953), ovvero della totale perdita come nella specie degli utili ritratti dalla società all’esito del relativo scioglimento e messa in liquidazione per l’impossibilità di operare (nel caso in ragione della totale incapacità lavorativa conseguita al socio accomandatario all’esito del sinistro stradale, in precedenza unico prestatore di qualificata e nel caso infungibile opera)”.
- “Il socio di una società di persone ha diritto all’immediata percezione degli utili risultanti dal bilancio dopo l’approvazione del rendiconto; ove, in conseguenza dell’impossibilità di prosecuzione dell’attività sociale con conseguente scioglimento e messa in liquidazione della società, come nella specie subisca la perdita del “guadagno” ritratto dalla società il socio ben può far valere direttamente nei confronti del terzo danneggiante il subito danno, consistente nella perdita della sua quota parte di utili della società”.
La perdita di chance
Ricapitolando, la Cassazione, nella sentenza rescindente del 2018, ha ritenuto che “…nell’impugnata sentenza la corte di merito ha invero disatteso i suindicati principi. In particolare, là dove ha affermato che “il danneggiato che lamenti la perdita di chance per perdita della futura capacità di guadagno, deve fornire la prova dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere in termini di certezza o di elevata probabilità, e non solo di mera potenzialità l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile… Inoltre… la CTU medico legale espletata sulla donna ha escluso qualsiasi riflesso dell’incidente sulla capacità lavorativa della stessa, sicché difetta il presupposto stesso richiesto per tale tipo di risarcimento”.
Conseguentemente, in sede di rinvio il ragionamento della Corte di Appello risulta indirizzato a “verificare se la socia accomandante a causa del sinistro abbia perso la mera possibilità di conseguire il risultato o guadagno futuro”.
Secondo il ragionamento seguito dal Giudice di merito, la perdita di guadagno subita dal socio di società personale provocata dalla estinzione dell’attività di impresa (come nella specie) deve essere risarcita come perdita “concreta ed effettiva” di una mera chance.
Il risarcimento per la perdita di futura capacità di guadagno
La socia accomandante ha chiesto il risarcimento per la perdita di futura capacità di guadagno personale a causa delle lesioni irreversibili riportate nel sinistro dal socio accomandatario (e conducente della motocicletta su cui ella viaggiava come trasportata al momento del sinistro). A causa del sinistro la sas è stata messa in liquidazione poiché il conducente della motocicletta e accomandatario ha perso totalmente la propria capacità lavorativa.
La donna ha prodotto in giudizio le dichiarazioni fiscali relative al periodo 1999-2000 documentando un reddito medio imponibile di lire 100.000.000 all’anno, derivante dalla suddetta partecipazione societaria.
Ha osservato, ancora, la Corte di appello che i due Modelli Unico presentati (anno 2000 e anno 2001) non sono sufficienti per parametrare la liquidazione equitativa del danno da perdita di chance. La Sas ha iniziato a operare l’8/2/2000, cioè circa otto mesi prima del sinistro avvenuto il 23/9/2000. Pertanto, in difetto di ulteriori dati documentali non è verosimile che il reddito esposto dalla socia accomandante nel 1999 sia riferibile alla Sas costituita che ha iniziato a operare nel 2000, e inoltre che quel reddito sia stato prodotto in soli otto mesi, con la conseguenza che anche la dichiarazione fiscale dell’anno successivo non offre elementi utili alla liquidazione.
Le motivazioni della Cassazione
La donna afferma omesso esame di un fatto decisivo laddove risulterebbe dalla documentazione in atti che nel 1999 la Bressan Sas era già attiva e ha prodotto gli utili indicati nella dichiarazione dei redditi prodotta in giudizio per quell’anno , nella parte in cui la corte di rinvio avrebbe omesso l’esame della dichiarazione dei redditi del 1999, che dimostrerebbe che l’attività di impresa aveva generato redditi già in tale anno, essendo da prima del 2000 iniziata l’attività della società Bressan.
Le censure proposte non tengono conto del principio di diritto, affermato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 8053/2014, secondo cui quando si invoca l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, deve essere indicato il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.
La ricorrente si limita a riferire che nessuno dei convenuti avrebbe contestato specificamente i fatti costitutivi della pretesa, da cui si dovrebbe giungere a ricostruire la volontà processuale manifestata dai suddetti.
Il motivo è privo di fondamento
Tuttavia, non viene riprodotto il contenuto delle allegazioni incontestate: in tal modo la S.C. non è in grado di applicare il principio : “il convenuto, ai sensi dell‘art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di “non contestazione” a seguito della modifica dell’art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata ad una contestazione non chiara e specifica. §
Questo onere gravante sul convenuto si coordina, peraltro, con quello di allegazione dei fatti di causa che incombe sull’attore, sicché la mancata allegazione puntuale dei fatti costitutivi, modificativi o estintivi rispetto ai quali opera il principio di non contestazione esonera il convenuto, che abbia genericamente negato il fatto altrettanto genericamente allegato, dall’onere di compiere una contestazione circostanziata”.
Se mai fosse ammissibile, il motivo sarebbe comunque privo di fondamento, perché pretende di attribuire rilievo alle contestazioni asseritamente generiche delle parti convenute in ordine a quanto emergeva dai documenti fiscali ipoteticamente richiamati nella citazione a proposito dell’inizio dell’attività, attribuendo loro il valore di pretesa non contestazione della loro effettività. La censura, in altri termini, confonde la genericità della contestazione del dato dichiarato, con quella della effettività di quanto dichiarato, che comunque suppone l’idoneità del fatto rappresentato e del documento che lo rappresenta a dimostrarla.
La Suprema Corte dichiara il ricorso integralmente inammissibile.
Avv. Emanuela Foligno