Perdita di chance riguardante la qualità della vita

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La decisione concerne il dibattuto tema della perdita di chance (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 25 marzo 2025, n. 7884).

I Consulenti del processo penale hanno affermato che “se non è possibile affermare la sussistenza di un danno quoad vitam, è invece probabile che una diagnosi corretta avrebbe permesso una migliore qualità di vita, consentendo di mettere in atto più precocemente quelle misure (chemioterapia, radioterapia) atte a ridurre i disagi della malattia”.

La perdita di chance riguardante la qualità della vita

La Corte d’appello di Torino, nel rigettare le domande avanzate dai congiunti della vittima, ha affermato che, a prescindere dalla precisa individuazione dell’ampiezza temporale del ritardo diagnostico, ciò che rileva è il suo effetto che nel caso concreto risulta, sostanzialmente, ipotetico.

Sulla perdita di chance riguardante specificamente la qualità della vita, nella relazione di CTU penale in data 30 settembre 2015 i Consulenti si erano espressi nel senso che “se non è possibile affermare la sussistenza di un danno quoad vitam, è invece probabile che una diagnosi corretta avrebbe permesso una migliore qualità di vita, consentendo di mettere in atto più precocemente quelle misure (chemioterapia, radioterapia) atte a ridurre i disagi della malattia.”

Il giudizio

I congiunti del paziente citano a giudizio l’Azienda Sanitaria Ospedaliera di Orbassano e la Casa di Cura chiedendone la condanna al risarcimento del danno iure proprio e iure hereditatis, loro derivato dal decesso del congiunto, asseritamente a causa dell’omessa e tempestiva diagnosi di tumore polmonare, cui era seguito un inutile intervento di prostatectomia.

Il Tribunale di Torino afferma che, sebbene il ritardo della diagnosi non avesse influito sulla morte del paziente, gli aveva sicuramente comportato un inutile intervento di prostatectomia (che sarebbe sicuramente passato in secondo piano, se fosse stato diagnosticato il tumore polmonare). Liquida, quindi, a titolo di danno iure hereditatis una somma pari a 7.741,09 euro, rigettando le altre domande proposte.

Per quanto di interesse, il primo grado, basandosi sulla CTU medico-legale ha accertato un’invalidità nella misura dell’11% con riguardo al danno non patrimoniale da premorienza, liquidato secondo le tabelle del tribunale di Milano del 2018, incrementando l’importo tabellare di 2.438 euro ad 3.000 euro e tenuto conto delle peculiarità del caso, nonché un danno da invalidità temporanea per il periodo di ricovero ospedaliero di otto giorni, con incremento del 50% sull’importo giornaliero di 98,00 euro, di ITP di 30 giorni al 50% e di ITP di ulteriori 60 giorni al 25%.

Il ritardo diagnostico

Lo stesso Tribunale ha sottolineato che dalle perizie svolte in sede penale e di ATP, era emerso che se la dott.ssa avesse avuto a disposizione la radiografia al torace fatta in precedenza dal paziente, nell’agosto 2009, in cui si annotava la presenza nella sede descritta della stessa lesione nodulare allora appena percettibile (avendo essa un diametro di approssimativamente 6-8 mm), avrebbe rilevato l’incremento dimensionale della lesione (che alla visita presentava già un diametro di 21 mm) e compreso che si trattava di una lesione probabilmente di natura maligna (e non fibrotica) suggerendo di procedere, dunque, ad un esame di II livello (TC torace).

Il Tribunale ha ulteriormente ritenuto, che “era sicuramente rintracciabile un ritardo diagnostico di circa sei mesi (riducibili a tre visto il tempo necessario per eseguire tutti i successivi accertamenti necessari per addivenire ad una diagnosi definitiva) imputabile per malpractice ai medici O. e C., ma che questo ritardo non aveva cagionato la morte del paziente dovuta alla malattia, probabilmente già in stato metastatico nel febbraio del 2011”.

Il vaglio di rigetto della Corte di Cassazione

Secondo i danneggiati, la Corte d’appello avrebbe ritenuto accertate le condotte dei sanitari sulla mancata diagnosi del tumore, affermando, tuttavia l’irrilevanza del ritardo e utilizzando a contrario taluni stralci della perizia penale per escludere il danno da perdita di chance, nonostante emergesse che la sopravvivenza e la qualità della vita della vittima erano state compromesse a causa del ritardo diagnostico.

Ancora, i Giudici di secondo grado avrebbero confuso l’incertezza eventistica con quella causale e, ritenendo dirimente la sola circostanza che un diverso approccio diagnostico e terapeutico non avrebbe comunque evitato la morte né le maggiori sofferenze dovute al ritardo diagnostico, avrebbero motivato in modo incongruo limitandosi ad evidenziare che il tumore polmonare è sempre a prognosi infausta, senza considerare il danno derivante dalla privazione della possibilità di sopravvivere più a lungo (anche rispetto alle mere probabilità statistiche) e/o con minori sofferenze.

Quanto affermato non è fondato perché il Giudice di merito ha compiutamente spiegato come non fosse emersa alcuna prova di un nesso causale tra la ritardata diagnosi e l’evento morte (anzi, essendovi agli atti, sostanzialmente, la prova contraria) né quello tra la ritardata diagnosi e la migliore qualità della vita.

Sul punto, la Corte di appello ha anche evidenziato che “In sede di ATP il quesito posto prevedeva specificamente di chiarire se gli eventuali inadempienti dei sanitari avesse inciso sull’eventuale accorciamento della vita e/o significativo peggioramento della qualità della vita residua del paziente deceduto e che da tale accertamento era emerso, visto il IV stadio raggiunto dalla malattia già a febbraio del 2011… e che è molto più probabile che non che il ritardo diagnostico sia stato del tutto ininfluente sulla prognosi del paziente”.

La perdita di chance non è apprezzabile in termini di concrete possibilità

Invece, i danneggiati si sono genericamente limitati a lamentare che una diagnosi corretta avrebbe permesso una migliore qualità della vita senza allegare specificamente alcun elemento (in particolare, cronologico) in grado di porre in relazione l’insorgere (e l’aggravarsi) dei patimenti fisici e psicologici con il ritardo diagnostico che non avrebbe consentito di ricorrere alle misure (anche solo antalgiche) atte a limitare le insorte sofferenze.

Concludendo, è stato infine affermato che “La perdita di chance non è apprezzabile in termini di concrete possibilità (ma di speranze) di evitare in caso di tempestiva diagnosi il peggioramento della qualità della vita”. Queste “concrete possibilità” sono assenti nel caso in esame in quanto non paiono desumibili né da generiche allegazioni circa l’anticipazione delle cure radioterapiche e chemioterapiche, né dalle ipotetiche poche settimane di vita in più prospettabili nel solo caso che la chemioresistenza si fosse eventualmente prolungata e, in ogni caso, in assenza di qualunque riscontro circa le condizioni di sofferenza fisica e psicologica in cui si sarebbe trovato il paziente nel corso di tale eventuale breve periodo di prolungamento della sua vita.

Ebbene, tali motivazioni rispettano i principi in tema di perdita di chance a carattere non patrimoniale da lesione del diritto alla salute da responsabilità sanitaria, che consiste nella privazione della possibilità di un miglior risultato sperato, incerto ed eventuale conseguente – secondo gli ordinari criteri di derivazione eziologica – alla condotta colposa del sanitario ed integra evento di danno risarcibile soltanto ove la perduta possibilità sia apprezzabile, seria e consistente (in tal senso vengono richiamate Cass. Sez. 3, 11/11/2019 n. 28993; Cass. Sez. 3 09/03/2018, n. 5641).

Il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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