La questione vede protagoniste due compagnie assicurative (Generali e Unipol) che eccepiscono la operatività delle rispettive polizze.
L’attrice cita in giudizio la commercialista davanti al Tribunale di Lecce, chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni subiti a causa di gravi negligenze professionali.
L’incarico e le conseguenze dell’omissione
Alla professionista veniva affidata l’attività di consulenza fiscale e tributaria connessa con l’esercizio di una tabaccheria della quale l’attrice era titolare, unitamente al compito di presentare le denunce dei redditi e di seguire tutte le incombenze fiscali e tributarie. A causa della mancata presentazione della denuncia dei redditi da parte della convenuta, la Guardia di Finanza aveva eseguito un complesso accertamento fiscale a carico della sua tabaccheria, dal quale era scaturito un processo penale terminato con l’assoluzione della parte attrice.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale accoglie parzialmente la domanda e condanna la commercialista a titolo di responsabilità professionale a pagare la somma di 108.591,11 euro. Accoglie, inoltre, la domanda di manleva avanzata dalla convenuta e condanna le tre società assicuratrici, in solido, al pagamento della somma di 108.591,11 euro, con detrazione della franchigia, regolando le spese di lite.
La sentenza viene impugnata in via principale dalla Generali Italia s.p.a. e in via incidentale dalla SIA s.p.a. e dall’UnipolSai s.p.a. e la Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 15 luglio 2022, accogliendo le impugnazioni delle società assicuratrici, ha rigettato le domande di manleva proposte dalla commercialista; ha confermato la condanna di quest’ultima al pagamento della somma liquidata dal Tribunale.
L’interpretazione della clausola contrattuale e l’autonomia negoziale
I Giudici di appello non condividono la decisione del Tribunale di ritenere nulla, per violazione dell’art. 1892 cc, la clausola di cui all’art. 7 delle condizioni generali del contratto di assicurazione. Tale previsione contrattuale – in base alla quale le eventuali richieste risarcitorie presentate dall’assicurato, per la prima volta, per sinistri anteriori alla stipula, sarebbero rimaste prive di copertura per un periodo di sei mesi – non era priva di corrispettivo, perché nei primi sei mesi di vita del rapporto la polizza garantisce comunque una copertura assicurativa per i sinistri verificatisi dopo la stipula del contratto. Quanto, invece, ai fatti pregressi, il patto volto ad escludere la copertura doveva ritenersi rientrante “a pieno titolo nell’area riservata all’autonomia negoziale”.
La Corte d’appello ha ritenuto anche fondata la censura con la quale la società Generali censurava l’interpretazione dell’art. 1892 cc data dal Tribunale. Non poteva essere ritenuto esatto che il rifiuto dell’indennizzo, da parte dell’assicuratore, in caso di dichiarazioni reticenti o mendaci sia esperibile solo previo tempestivo esperimento dell’apposita domanda di annullamento del contratto. La suddetta norma deve essere interpretata nel senso che l’obbligo di manifestare la volontà di esercitare il potere di annullamento del contratto nel termine di tre mesi non sussiste se il sinistro si verifica prima del decorso di tale termine, oppure prima che l’assicuratore venga a conoscenza del contenuto reticente delle dichiarazioni rese dall’assicurato.
La stipula del contratto e la conoscenza del sinistro
Nella specie, la commercialista aveva stipulato il contratto con Generali in data 8 ottobre 2013, essendo a quell’epoca pienamente consapevole di aver arrecato danno alla sua cliente, posto che le operazioni di verifica fiscale della Guardia di Finanza si erano svolte da febbraio ad aprile 2012. Pertanto, avendo Generali avuto notizia della condotta antigiuridica dell’assicurata solo con la notifica dell’atto di citazione, a sinistro avvenuto, correttamente la società aveva rifiutato il pagamento del sinistro.
Da tanto conseguiva che la domanda di manleva proposta dalla commercialista nei confronti della Unipolsai doveva essere respinta.
La validità della clausola claims made
La danneggiata si rivolge alla S.C. Nella pronuncia impugnata c’è un’espressa statuizione con la quale l’odierna ricorrente, che non è l’assicurata, bensì la danneggiata, è stata condannata a restituire alle società di assicurazioni le somme a lei versate in esecuzione della decisione di primo grado. Tale statuizione porta a ritenere che l’interesse della stessa al ricorso in Cassazione sia certamente esistente.
Premesso ciò, viene lamentata la interpretazione delle condizioni di validità della clausola claims made. Sostiene la ricorrente che simile clausola sarebbe in contrasto con l’art. 2965 cc perché determinerebbe il maturarsi di una decadenza non evitabile con una condotta diligente; ciò in quanto la clausola claims made così concepita farebbe dipendere la sussistenza della copertura assicurativa non solo dall’evento dedotto, ma anche “da un ulteriore evento incerto, qual è la richiesta di risarcimento del terzo danneggiato”.
La S.C. sottolinea che tale orientamento è stato espressamente smentito da alcune pronunce successive. La Corte d’appello ha correttamente applicato la giurisprudenza e – dopo aver osservato che il pagamento dei premi di assicurazione non era privo di corrispettivo già nei primi sei mesi, perché garantiva comunque copertura assicurativa ai nuovi sinistri – ha correttamente richiamato i principi giurisprudenziali, nel senso che l’esclusione della garanzia per le richieste risarcitorie pervenute entro i primi sei mesi, e riferibili ai sinistri pregressi, rientra comunque a pieno titolo nell’area riservata all’autonomia negoziale delle parti.
La reticenza dell’assicurato e l’interpretazione dell’art. 1892 c.c.
Viene anche lamentata la reticenza dell’assicurato: secondo la ricorrente, poiché l’art. 1892 rientra tra le norme non derogabili in peius per l’assicurato, ai sensi dell’art. 1932 cit., sarebbe meno favorevole per l’assicurato una clausola in base alla quale l’assicuratore si sottrae non solo all’onere di impugnare il contratto con l’azione di annullamento, ma anche alla decadenza dal relativo diritto se non impugna il contratto entro tre mesi da quando è venuto a conoscenza dell’inesattezza della dichiarazione o della reticenza dell’assicurato. La società Generali Italia, quindi, avrebbe agito in violazione dell’art. 1892 cc, norma la quale dispone che in caso di dichiarazioni reticenti o mendaci il contratto può essere annullato sempre che venga proposta apposita domanda, in mancanza della quale l’effetto di non operatività del contratto non si può determinare.
Le dichiarazioni inesatte assicurazione perdita indennizzo
La censura non è corretta. L’assicuratore ha l’onere di manifestare, allo scopo di evitare la decadenza, la propria volontà di esercitare l’azione di annullamento del contratto, per le dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto la causa di tale annullamento, non sussiste quando il sinistro si verifichi anteriormente al decorso del termine suddetto e, ancora più, ove avvenga prima che l’assicuratore sia venuto a sapere dell’inesattezza o reticenza della dichiarazione, essendo sufficiente, in questi casi, per sottrarsi al pagamento dell’indennizzo, che l’assicuratore stesso invochi, anche mediante eccezione, la violazione dolosa o colposa dell’obbligo, esistente a carico dell’assicurato, di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio.
La prospettiva interpretativa della danneggiata sostiene che, una volta decorso il termine di tre mesi fissato dall’art. 1892 cit., l’assicuratore perda anche il diritto di rifiutare il pagamento; il che non risponde affatto alla logica del sistema.
Il ricorso, pertanto, è rigettato (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 25 marzo 2025, n. 7890).
Avv. Emanuela Foligno