A seguito di inadeguate cure della tubercolosi il paziente accusa perdita di funzionalità del polmone destro e compromissione grave del polmone sinistro (Cassazione civile, Sez. III, sentenza n.7909/2021 depositata il 19/03/2021)

Il paziente danneggiato, a seguito di patologia tubercolotica, scoperta mediante radiografia, veniva curato a seguito di un primo ricovero, e che all’esito non venne dichiarato guarito e gli veniva genericamente prescritto di recarsi presso altra struttura sanitaria per ulteriori esami radiografici, senza alcuna indicazione del termine entro il quale effettuarli. A causa di recidiva della patologia veniva nuovamente ricoverato, e al termine del periodo di cure, anche domiciliare, gli residuarono gravi postumi permanenti, consistenti nella perdita di funzionalità del polmone destro e nella compromissione di quello sinistro.

L’uomo, quindi, conveniva a giudizio L’Azienda Sanitaria di Udine al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale di Udine, previa CTU Medico-Legale, accoglieva parzialmente la domanda, condannando la Struttura a corrispondere la somma di euro 85.249,50, risultante da defalco del 50% per concorso di colpa, e accertava la presenza di postumi permanenti al 25%, e nel 36% il danno alla capacità lavorativa generica.

La Corte d’Appello di Trieste, adita dal paziente, rigettava l’impugnazione e confermava la decisione di primo grado.

La vicenda approda in Cassazione, ove resiste con controricorso, e propone ricorso incidentale condizionato, articolato su due motivi, la Azienda Ospedaliera.

Il paziente danneggiato censura:

  • i poteri di “ricerca” e allegazione di fatti storici da parte del giudice, sottolineando distinzione tra poteri di rilevazione dell’eccezione e quelli di allegazione dei fatti;
  • i limiti della funzione percipiente del consulente tecnico di ufficio, asserendo che l’attività del consulente non può spingersi fino ad allegare fatti che non abbiano carattere tecnico scientifico o, comunque, che non siano marginali ed accessori;
  • la mancata applicazione dei principi sulla ripartizione dell’onere della prova in campo di responsabilità contrattuale medica, ritenendo errato che il danneggiato debba provare, fin dall’inizio, la propria diligenza;
  • la dichiarata, dai giudici di merito, “tardività” della prova orale richiesta;
  • la violazione del principio dell’equivalenza delle prove;
  • l’asserita insufficiente specificazione della prova anche per il carattere di prova contraria;
  • la dichiarata tardività del deposito delle linee guida, dei protocolli medici, della consulenza di parte e delle argomentazioni difensive;
  • la mancata riapertura del contraddittorio in primo grado e in secondo grado relativamente ai fatti non oggetto di allegazione e trattazione tra le parti e fondanti il concorso di colpa del danneggiato.;
  • la mancata decisione sul terzo motivo d’appello inerente il nesso causale omissivo e del concorso di colpa.

Il primo motivo viene dichiarato inammissibile.

Sul secondo motivo, la Corte territoriale ha enunciato, invero, svariate motivazioni in ordine alla inammissibilità della prova testimoniale, ognuna idonea a sorreggerla.

Tele doglianza appare inammissibile in relazione alla genericità della prova testimoniale richiesta e non ammessa dai giudici di merito.

Infatti, il ricorrente, argomenta genericamente sul punto e non riproduce il contenuto dei di prova, con ciò violando l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Anche il terzo motivo si presenta inammissibile.

Per quanto riguarda le linee guida, non spiega come dovrebbero avere ingresso le linee guida con riferimento a fattispecie verificatasi prima delle norme di cui viene invocata l’applicazione.

Sul punto, ricorda la Suprema Corte, è stato a più riprese statuito che “…le norme poste dal D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 1, convertito dalla L. n. 189 del 2012, e dalla L. n. 24 del 2017, art. 7, comma 3, non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore”, salva l’applicabilità retroattiva dei parametri per la liquidazione del danno non patrimoniale.

In relazione alla CTP, pure essendo esatto il riferimento alla giurisprudenza nomofilattica richiamata dal ricorrente, (S.U. n. 13902 del 03/06/2013) ne viene rilevata l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non viene riprodotto, nè direttamente nè indirettamente, il contenuto della consulenza di parte.

Il quarto motivo, inerente la mancata sollecitazione del contraddittorio sul concorso di colpa del creditore, è inammissibile, per carenza di specificità, in quanto omette di indicare, quale fosse il contenuto dell’atto di appello che deduceva la violazione della norma, la quale, se commessa dal primo giudice, era soggetta all’art. 161 c.p.c., comma 1, ovverosia doveva essere oggetto di idonea impugnazione e prima ancora di specifica deduzione dinanzi allo stesso Tribunale.

Il quinto motivo, inerente il nesso causale omissivo e il concorso di colpa del paziente, non ha la sostanza del vizio di omessa motivazione, di cui all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, quando lamenta che il motivo di appello non sarebbe stato esaminato, atteso che la mancanza o apparenza di motivazione non possono risultare da altri documenti, ma debbono risultare dalla stessa sentenza.

Tale motivo è inammissibile e in parte infondato.

Anche la censura inerente la pretesa mera apparenza della motivazione, si dovrebbe desumere non dal testo del provvedimento impugnato, bensì da elementi dell’istruttoria rivenienti da altri documenti o fatti, che non possono essere vagliati in legittimità.

Egualmente, il sesto motivo viene dichiarato inammissibile in quanto non riporta esattamente, e in modo comprensibile, cosa si censura della decisione d’appello, di cui vengono riprodotti brevissimi stralci, e ignora la parte di motivazione della sentenza con i riferimenti alla capacità lavorativa specifica, ridotta solo quanto alle attività di turnazione e notturna con esposizione a fatica.

In conclusione, la Suprema Corte rigetta integralmente il ricorso.

Il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale.

Le spese di lite, seguono la soccombenza e vengono poste in capo al ricorrente per euro 2.700,00 oltre accessori di legge.

Avv. Emanuela Foligno

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