È legittimo il provvedimento che nega allo straniero, già condannato per violenza sessuale, il rinnovo del permesso di soggiorno

Il ricorrente aveva impugnato dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria il decreto del Questore di La Spezia avente ad oggetto il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per “motivi di lavoro subordinato”, nonché il decreto del Prefetto di La Spezia, di rigetto del ricorso gerarchico.

Il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno era stato adottato dall’amministrazione poiché esisteva a carico del richiedente una sentenza di condanna, pronunciata dal Tribunale penale della Spezia nel 2015, per il reato di violenza sessuale.

All’esito del giudizio di primo grado il Tar per la Liguria accoglieva il ricorso, ritenendo che “pur in presenza di una sentenza di condanna per un reato ostativo, i provvedimenti impugnati non contenevano la doverosa valutazione circa la natura e l’effettività dei vincoli familiari dello straniero, padre di un figlio minore residente in Italia”.

Contro tale sentenza il Ministero dell’Interno ha proposto appello al Consiglio di Stato, deducendo la palese erroneità della decisione impugnata.

Come premesso, l’appellato era stato condannato per il reato di violenza sessuale ex art. 609-bis comma 3 c.p., qualificato dalla legge come automaticamente ostativo al soggiorno nel territorio dello Stato, e l’Amministrazione aveva conseguentemente negato il rinnovo del titolo di soggiorno.

Peraltro – hanno osservato i giudici del collegio amministrativo di secondo grado – “ai sensi degli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998, come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. b, n. 1 del d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 (di attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare), nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, si deve tenere anche conto anche “della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato”.

Ed inoltre, con la sentenza 3-18 luglio 2013, n. 202 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998, nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che “ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare” o al “familiare ricongiunto”, e non anche allo straniero “che abbia legami familiari nel territorio dello Stato”. Il TAR ha quindi accolto il ricorso dell’interessato contro il mancato rinnovo del titolo.

La decisione

Tuttavia, nel caso in esame, considerata la tipologia e la gravità del reato commesso (violenza sessuale) il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno all’autore dei fatti contestati che “risulta[va]no incompatibili non solo con i valori fondanti della nostra Comunità nazionale, ma anche con l’interesse alla stabilità del nucleo familiare interessato, in quanto in questo caso la valutazione di pericolosità sociale dell’appellato risultava esser stata adeguatamente riferita alla condanna per fatti che gravemente contrastanti con il principio fondamentale sancito dall’art. 2 della Costituzione; principio che impone alla Repubblica di garantire i diritti inviolabili della persona sia come singolo, sia nelle formazioni sociali -come il nucleo familiare – in cui svolge la propria personalità, con particolare riguardo, nella fattispecie considerata, ai precetti costituzionali che impongono la tutela della vita, dell’integrità fisica, della parità e della libertà della donna”.

Conclusivamente, l’appello è stato accolto e per l’effetto riformata la pronuncia di primo grado (Consiglio di Stato, n. 8175/2019).

La redazione giuridica

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