Piede piatto bilaterale e intervento di correzione (Corte Appello di Napoli, sez. IX, dep. 01/03/2022).
Piede piatto bilaterale e intervento di correzione che provoca deformità e asimmetria.
Nello specifico, la paziente veniva ricoverata presso il reparto ortopedia dell’Ospedale con diagnosi di ingresso “piede piatto valgo bilaterale” e veniva sottoposta a intervento chirurgico di “correzione di piede piatto con endortesi bioriassorbibili di Giannini”, mediante l’inserimento di vite di Giannini da 8 mm nel seno del tarso.
Continuando a persistere fastidio e dolore anche dopo l’intervento veniva eseguito l’esame RX rachide in toto in ortostatismo e piede sotto carico, che evidenziò “atteggiamento scoliotico del tratto del passaggio D-I con apice in D 11…….Lieve disallineamento delle creste iliache per sottrazione a sx di circa 10 mm in rapporto a minor dismetria degli arti inferiori……..”.
Successivamente, la paziente veniva sottoposta a intervento chirurgico correttivo presso altra Struttura Ospedaliera, dove veniva effettuata l’introduzione di un “endortesi di diametro 10 al titanio”. Il re-intervento comportò, quale effetto collaterale, l’intolleranza all’endortesi, per cui vi fu un terzo intervento chirurgico sul precedente accesso di riposizionamento di nuova endortesi.
Secondo l’assunto attoreo, il primario intervento chirurgico di correzione di piede piatto veniva eseguito erroneamente perché determinava deformità, causa del carico anomalo e doloroso sul piede, e concausa dell’asimmetria di cui “al disallineamento delle creste iliache per sottrazione a sx di circa 10 mm in rapporto a minor dismetria degli arti inferiori e all’atteggiamento scoliotico”.
E dunque, i successivi trattamenti chirurgici correttivi a cui si era dovuta sottoporre erano da ricondursi all’errore commesso dai sanitari della prima Struttura, che aveva pure comportato un danno morfologico e disfunzionale del 7%, ed una inabilità temporanea assoluta e relativa in giorni 40+60.
Il Tribunale di Benevento accoglieva parzialmente la domanda e l’Assicurazione della Struttura propone appello deducendo inammissibilità e infondatezza della domanda di manleva avanzata dalla Struttura; erroneità ed illegittimità della sentenza in riferimento alla ritenuta non meritevolezza della clausola claims made; erronea ed illegittima ricostruzione del contenuto e del significato dell’art. 8 del contratto di assicurazione.
Per quanto qui di interesse, riguardo l’appello incidentale proposto dalla paziente, la Corte riprende quanto osservato nella CTU: “sebbene l’indagine semeiologica-clinica della patologia clinica di cui soffriva la paziente appare essere stata espletata in maniera incompleta, relativamente ai vari passaggi previsti da protocolli e linee guida d’epoca riportati nella precedente bibliografia, si può affermare che era congrua l’indicazione all’intervento chirurgico di correzione di piede piatto (artrorisi). Ciò in relazione sia al tipo di piede piatto, ad elevatissima probabilità di tipo strutturale, sia in relazione alla fascia d’età specifica per il predetto intervento, sia in relazione alla sintomatologia accusata dalla minore e sia, infine, al tipo di intervento proposto. Il tutto congiunto ad un consenso informato nel quale, peraltro, era prevista la possibilità di una recidiva della patologia”.
Ed ancora, sempre dalla CTU, sulla necessità del secondo intervento “l’assenza di radiografie ante intervento ed esami strumentali post-intervento, l’assoluta mancanza di dati documentali relativi al follow-up convalescenziale e l’epoca, dopo circa 4 anni, di esame radiografico evidenziante “riduzione delle altezze degli archi plantari”, non permette di esprimere considerazioni, ….in merito alla condotta professionale sia del sanitario che visitò la minore ante intervento e sia di chi ha eseguito il post intervento della minore…..non è possibile affermare che la necessità del reintervento sia da ascrivere ad errata procedura del primo intervento di correzione di piede piatto, ovvero ad altri fattori intervenuti nell’evoluzione clinica del caso, non è possibile affermare, che i successivi trattamenti non vi sarebbero stati se la condotta doverosa fosse stata posta in essere……”.
In sintesi, non era possibile desumere un nesso di causalità tra la condotta del Medico operante e l’evoluzione clinica della patologia che aveva reso necessaria, a distanza di 4 anni, l’apposizione di un’endortesi di diametro maggiore, nonostante “un maggior accrescimento rispetto alla data precedente, ovvero, nonostante una verosimile diminuzione morfologica del seno del tarso”.
La Corte d’Appello aderisce alle valutazioni espresse dal primo Giudice e dal CTU ed evidenzia che l’accertamento di una condotta colposa o imperita non è autonomamente sufficiente a ricondurre alcuna responsabilità in capo al sanitario.
Difatti, è necessario che venga anche individuato un preciso legame, un nesso eziologico tra errore commesso e danno subito dal paziente, perché il secondo possa qualificarsi come diretta conseguenza del primo.
Il CTU ha evidenziato la corretta scelta chirurgica operata dai sanitari della struttura ospedaliera, con esito dell’intervento diverso da quello auspicato, seppure possibile, in considerazione dell’età della paziente.
Conclusivamente, in assenza del nesso causale tra la condotta del medico e l’evento lesivo, non è possibile affermare la sussistenza della responsabilità medica.
L’appello incidentale viene rigettato.
Avv. Emanuela Foligno
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