Il Tribunale di Napoli ha condannato il Ministero della Salute a risarcire i familiari di una donna morta nel 2013 dopo essere risultata positiva all’HCV anni dopo una trasfusione di sangue

Nel 1976 aveva subito trasfusioni di sangue infetto durante la degenza presso l’Ospedale Loreto Mare di Napoli. Per quasi 20 anni non aveva accusato alcuna sintomatologia, ma nel 1995, in seguito a degli accertamenti medici, era risultata positiva all’HCV, successivamente evoluta in cirrosi. La donna era poi morta per uno scompenso ascitico nel 2013.

Lo scorso 15 novembre, il Tribunale civile di Napoli ha condannato il Ministero della Salute a versare una cifra pari a circa 700mila euro agli eredi della vittima. Questi, infatti, dopo il riconoscimento dell’indennizzo ex legge 210/92 e dopo aver percepito le provvidenze dell’una tantum, nel 2016 avevano deciso di agire nei confronti del dicastero di Lungotevere Ripa per richiedere il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale.

Il Giudice partenopeo ha rigettato, in primis, l’eccezione di prescrizione sollevata dalla controparte, precisando che per la tipologia di danno lamentato il termine è decennale e inizia a decorrere dalla data del decesso.

Il Collegio, quindi, ha affermato la sussistenza del nesso causale tra le trasfusioni praticate alla paziente 43 anni fa, la contrazione della patologia e la conseguente morte. Una conclusione a cui si è giunti sia sulla base dei documenti allegati agli atti di causa che delle risultanze della consulenza tecnica eseguita in corso di causa dai professori del dipartimento di medicina legale della Seconda Università di Napoli.

Da li il riconoscimento  della responsabilità extracontrattuale del Ministero della Salute, per totale omissione dei necessari controlli in ordine alla sicurezza e tracciabilità del sangue, e la condanna al pagamento dei danni non patrimoniali subiti dagli attori, per un importo di 700mila euro, oltre interessi.

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