Post diffamatorio: quanto conta il numero delle visualizzazioni?

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falsi profili social

Non conta il numero di visualizzazioni o interazioni che il post diffamatorio, pubblicato su Facebook, abbia effettivamente avuto, in quanto è sufficiente la mera diffusione del messaggio sul social network affinché si possa ritenere sussistente il requisito della pubblicità

La vicenda

La Corte militare d’appello di Roma aveva confermato la sentenza di condanna, pronunciata in primo grado, a carico di un tenente della marina militare italiana, accusato di vilipendio della Repubblica.

Il militare aveva pubblicato, sul proprio profilo Facebook, una fotografia di una nave da guerra con una scritta giudicata offensiva per l’Italia, posto che quest’ultima era stata indicata nel testo incriminato come uno «Stato di m …».

I difensori dell’imputato hanno proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a tre motivi.

  • errata interpretazione dell’art. 530 c.p.p., non essendo stata raggiunta la prova della paternità della frase incriminata;
  • errata qualificazione del fatto, quale vilipendio;
  • sussistenza, nel comportamento, del requisito della continenza e mancanza del requisito della pubblicità del commento incriminato, data la mancanza di certezza circa la visione della frase da parte di terzi.

Inoltre, mancava la precisa volontà dell’imputato di commettere il reato. La farse incriminata  – a detta della difesa – soddisfaceva il requisito della continenza, in quanto vi era un chiaro riferimento alla vicenda dei marò italiani e alla connessione di essa con i rapporti economici tra l’india e un’azienda italiana.

Ma il motivo non è stato accolto.

I giudici della Prima Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 35988/2019) hanno chiarito che l’elemento soggettivo del delitto di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate, consiste nel dolo generico, con conseguente irrilevanza dei motivi particolari che possono aver indotto l’autore a commettere consapevolmente il fatto vilipendioso addebitato.

E, in ogni caso, “il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero e, correlativamente, quello di associarsi liberamente in partiti politici, per manifestare determinate ideologie, al fine di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, trovano un limite non superabile nella esigenza di tutela del decoro e del prestigio delle istituzioni, per cui l’uso di espressioni di offesa, disprezzo, contumelia costituisce vilipendio punibile ai sensi dell’art. 290 c.p.” (Sez. 1, n. 14226/1977).

Quanto alla pubblicità del messaggio, la giurisprudenza di legittimità è ormai costante nel ritenere che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integri un’ipotesi di diffamazione aggravata, ai sensi dell’art. 595, comma terzo, c.p., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque, quantitativamente apprezzabile di persone (Sez. 1, n. 24431/2015).

In questo senso, non rileva il numero di visualizzazioni o interazioni che il post pubblicato su facebook abbia effettivamente avuto, ma è sufficiente la mera diffusione del messaggio sul social network affinché si possa ritenere sussistente il requisito della pubblicità.

La decisione

Ebbene, la Corte d’appello militare aveva tenuto conto di tali principi di diritto, qualificando correttamente il fatto giudicato e ravvisando il dolo. Secondo l’ordinamento militare, gli appartenenti alle forze armate possono commentare vicende politiche e di attualità, ma senza travalicare i limiti della continenza, cosa che invece, non era accaduta nel caso di specie.

Altrettanto priva si pregio è stata ritenuta la doglianza difensiva secondo cui, l’utilizzo nell’espressione incriminata, della parola Stato, avrebbe dovuto determinare una diversa qualificazione giuridica del fatto, riferibile al vilipendio alla Nazione italiana, ai sensi dell’art. 82 c.p. mil. pace.

In realtà, il commento riguardava un articolo sui rapporti commerciali tra l’Italia e l’India, quindi non poteva essere riferito alla Nazione, ossia alla comunità di individui, ma allo Stato, cioè al soggetto inquadrabile e riconoscibile proprio in quegli organi indicati dalla lettera dell’art. 81 .p. mil. pace, quali ad esempio, il Governo e le Assemblee legislative.

La redazione giuridica

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