E’ quanto accaduto al collaboratore di uno studio legale che aveva fatto sottoscrivere ai clienti quietanze e attestazioni di pagamento

Falso materiale in scrittura privata ed esercizio abusivo della professione. Queste le accuse mosse nei confronti di un collaboratore di uno studio legale che, nonostante non avesse ancora conseguito l’abilitazione per l’esercizio della professione, si era presentato ai clienti come avvocato incaricato della trattazione della causa. Il praticante, oltretutto, aveva fatto sottoscrivere agli assistiti quietanze e attestazioni di pagamento, ricevendo acconti in denaro.
Condannato in primo grado e in Appello, l’imputato aveva fatto ricorso in Cassazione sostenendo che le condotte contestate non rientravano nell’attività tipica della professione legale e pertanto non avrebbero configurato il reato di esercizio abusivo della professione, disciplinato dall’articolo 348 del codice penale.
La Suprema Corte, quinta sezione penale, con la sentenza n. 7630/2017 ha tuttavia, respinto tale argomentazione. Secondo i Giudici di Piazza Cavour, infatti, la Corte d’Appello aveva evidenziato, richiamando una giurisprudenza consolidata, come le attività che lo stesso imputato aveva ammesso di aver svolto nell’ambito della controversia civilistica fossero da ritenere tipiche della professione forense.
Le Sezioni Unite della Cassazione, infatti, avevano affermato nella sentenza n. 11545/2011, che “integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da un soggetto regolarmente abilitato”.
Tuttavia, nonostante la dichiarata inammissibilità del ricorso, gli Ermellini hanno ritenuto di annullare senza rinvio la parte della sentenza impugnata relativa al capo di imputazione di falsità in scrittura privata, prevista dall’articolo 485 del codice penale, in quanto in seguito alla depenalizzazione, tale illecito non è più previsto come reato dal nostro ordinamento giuridico.

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui