Può il giudice di merito rideterminare il compenso dovuto all’avvocato per le prestazioni professionali rese? E se sì, entro quali limiti?
La vicenda
Il legale rappresentante di una minore aveva proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo che condannava quest’ultima a pagare, in qualità di erede, la somma di Euro 12.019,23, quale corrispettivo delle prestazioni professionali di assistenza legale svolte da un avvocato in difesa suo padre, nel frattempo deceduto.
Il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione; mentre la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava l’entità del compenso dovuto al professionista.
Più precisamente, risalendo l’attività prestata al 20.02.2004, la Corte distrettuale, facendo applicazione del D.M. n. 585 del 1994, ratione temporis applicabile ed individuato quale scaglione di riferimento quello per le cause dal “valore indeterminabile di particolare importanza”, quantificava il complessivo credito in Euro 6.384,96. Da detta somma detraeva l’acconto versato di Euro 4.500,00, condannando, per l’effetto, l’opponente al pagamento del residuo importo, computato in relazione alla quota ereditaria della minore.
Per la cassazione della sentenza, il legale ha proposto ricorso lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito rideterminato il compenso a lui spettante, in assenza di una domanda della controparte in tal senso.
Ma il motivo non è stato accolto.
I giudici della Seconda Sezione Civile della Cassazione (ordinanza n. 26860/2019) hanno ricordato che per consolidato orientamento giurisprudenziale, in tema di interpretazione della domanda, il giudice di merito è tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa, alla luce dei fatti dedotti in giudizio, a prescindere dalle formule adottate, per cui è necessario, a tal fine, tener conto anche delle domande che risultino implicitamente proposte, in modo da ricostruire il contenuto e l’ampiezza della pretesa secondo criteri logici che permettano di rilevare l’effettiva volontà della parte in relazione alle finalità concretamente perseguite dalla stessa (Cass. n. 19630 del 2011; Cass. n. 19435 del 2018)
Ed invero, con l’atto di citazione in appello l’opponente aveva espressamente censurato la violazione, da parte del giudice di prime cure, dei “criteri di redazione della parcella”, nonché la “non congruità degli importi pretesi”.
Parimenti, è stato rigettato il secondo motivo concernente la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e art. 132 c.p.c., n. 4, per avere la Corte di merito rideterminato il compenso a lui spettante, discostandosi dal parere dell’Organo professionale senza alcuna motivazione.
Recenti pronunce della Suprema Corte hanno riaffermato il principio per il quale, in materia di liquidazione delle competenze professionali dell’avvocato, il giudice non è vincolato al parere di congruità del Consiglio dell’Ordine (Cass. n. 712 del 2018 e Cass. n. 10428 del 2005), dal quale può discostarsi, indicando sia pure sommariamente, come peraltro avvenuto nel caso in esame, le voci per le quali ritiene il compenso dovuto in misura ridotta (Cass. n. 13743/2002).
Ed, infatti, mentre ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo a norma dell’art. 636 c.p.c. la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni può essere utilmente fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale, tale documentazione non è più sufficiente nel giudizio di opposizione, il quale si svolge secondo le regole ordinarie della cognizione e impone al professionista, nella sua qualità di attore, di fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, per consentire al giudice di merito di verificare le singole prestazioni svolte dal professionista stesso e la loro corrispondenza con le voci e gli importi indicati nella parcella (Cass. n. 18775 del 2005).
Nel caso in esame, con la sentenza impugnata, la Corte di merito aveva espressamente indicato le voci da liquidare, stabilendo per ciascuna di esse, sulla scorta di una valutazione discrezionale delle caratteristiche qualitative e quantitative dell’opera prestata dal ricorrente avvocato, la misura del compenso in concreto dovuta, quantificandola all’interno del limite minimo e massimo stabilito dalle tabelle allegate al D.M. n. 585 del 1994.
La redazione giuridica
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