Prolungato arresto cardio-respiratorio provoca al paziente demenza da encefalopatia post-anossica (Corte Appello Torino, sez. I, 30/03/2022, n.352).

Prolungato arresto cardio-respiratorio è quanto eccepito dal paziente che chiama a giudizio l’Ospedale torinese chiedendone la condanna per le conseguenze fisiche subite.

In particolare, il paziente veniva ricoverato presso l’Ospedale per un’importante aritmia cardiaca, trattata farmacologicamente; in seguito, in data 24.12.2009, era condotto sull’attore uno studio coronarografico, all’esito del quale, lo stesso era sottoposto ad angioplastica; in data 5.1.2010, era sottoposto ad uno “studio elettrofisiologico ed ablazione per tachicardia ventricolare infundibolare”.

Parte attrice rilevava che alla suddetta pratica era seguita immediata complicanza, con prolungato arresto cardiaco-respiratorio ed anossia cerebrale, con conseguenti lesioni diagnosticate in “demenza da encefalopatia post-anossica”.

L’attore sosteneva, altresì, che tale conseguenza era derivata sia dall’errore diagnostico-terapeutico dei sanitari, sia dalla condotta colposa omissiva dell’anestesista, il quale era risultato irreperibile al momento dell’arresto cardiorespiratorio.

Infine, l’attore lamentava la mancanza di consenso informato in riferimento ai rischi connessi all’intervento eseguito e rilevava che, a causa della situazione descritta, la propria moglie aveva subito un rapido peggioramento del proprio stato di salute, con successivo decesso nel settembre 2010; chiedeva, dunque, la condanna di parte convenuta al risarcimento dei danni patiti iure proprio, nonché iure hereditatis per i danni subiti dalla moglie deceduta.

Con separato atto di citazione, la sorella del paziente agiva in proprio contro la convenuta al fine di ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti in conseguenza delle lesioni occorse al fratello.

Il Tribunale di Torino rigettava le domande attoree, dichiarava interamente compensate le spese di lite tra le parti, e poneva definitivamente a carico della parte attrice le spese di CTU.

Il Tribunale rilevava la tardività dell’eccezione di nullità e della richiesta di rinnovazione della CTU formulate da parte attrice, e osservava che la richiesta di parere rivolta ad altro Specialista dal CTU non potesse ritenersi censurabile o indicativa di insicurezza o incompetenza, ma che rappresentasse, invece, un comportamento sintomatico di serietà e ponderatezza della decisione.

Nel merito, il Tribunale riteneva infondata la tesi di parte attrice. Nello specifico, il Giudice di primo grado rilevava sia la condizione fisica non buona dell’attore, sia come, secondo i CTU, l’iter diagnostico seguito e la successiva procedura di ablazione fossero pienamente giustificati dalle condizioni di salute. Osservava, inoltre, che l’episodio di  prolungato arresto cardio-respiratorio e dissociazione elettromeccanica, occorso al termine della procedura, era una delle possibili (rare) complicanze della terapia ablativa, prevedibile ma non prevenibile, e, dunque, evento avverso non riconducibile ad aspetti di responsabilità medica.

Il Tribunale riteneva pienamente condivisibili le opinioni dei CTU e rilevava, altresì, come l’arresto cardiaco fosse una complicanza possibile in un soggetto con elevatissimo profilo di rischio cardiovascolare; osservava, inoltre, che non risultava un ritardo nell’intervento dell’anestesista – avvenuto in meno di 10 minuti dal verificarsi dell’evento avverso – e che le manovre rianimatorie erano state fatte insieme a quest’ultimo.

Il Tribunale respingeva, infine, la domanda attorea con riguardo al contestato profilo di mancanza di consenso informato.

L’appellante censurava la sentenza del Giudice di primo grado, rilevando l’erroneità e l’illegittimità per non aver disposto la rinnovazione della CTU;  per non aver ritenuto provata la condotta colposa omissiva dei sanitari ed il nesso causale con l’evento.

Con sentenza del 20.5.2016, la Corte di Appello di Torino respingeva e confermava integralmente la sentenza di primo grado.

Il tutore del paziente notificava ricorso per Cassazione. La Cassazione, con ordinanza n. 9984/2019, accoglieva il ricorso proposto, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione. In particolare, la Suprema Corte osservava, quanto al secondo motivo, che, nonostante il giudice debba affidarsi all’esito di una consulenza tecnica di tipo percipiente laddove non possegga le conoscenze tecnico-scientifiche necessarie per ricostruire e comprendere la fattispecie concreta in esame, nel caso di specie la Corte di merito aveva tenuto conto solo parzialmente e contraddittoriamente delle risultanze della C.T.U. L’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui, riguardo il prolungato arresto-cardiorespiratorio, il paziente avrebbe ricevuto immediata assistenza, in quanto le manovre di emergenza erano già state poste in essere dal cardiologo nell’attesa dell’arrivo dell’anestesista, risultava infatti in contrasto con la circostanza, riportata nella C.T.U., secondo cui le manovre rianimatorie erano state realizzate insieme all’anestesista e non prima del suo arrivo.

La Corte torinese, in sede di rinvio, dispone nuova C.T.U.

Tanto dalle evidenze probatorie, quanto dalla nuova C.T.U. disposta in sede di rinvio, risulta come il personale medico dell’Azienda Ospedaliera convenuta abbia agito secondo la diligenza e la prudenza prescritte, nonché nel rispetto delle linee guida all’epoca vigenti, sicché non sussiste alcuna responsabilità in capo all’Azienda Ospedaliera.

Nella specie, parte attrice contestava due differenti profili di responsabilità: innanzitutto una responsabilità diagnostico-terapeutica dei medici per aver effettuato un trattamento non necessario e comportante rischi maggiori dei benefici attendibili; in secondo luogo una responsabilità per non aver provveduto tempestivamente ed efficientemente alla rianimazione avendo così erroneamente prolungato l’arresto cardio-respiratorio.

Dalle risultanze della CTU emerge che tutte le linee guida esistenti all’epoca dell’intervento, tenuto conto della situazione clinica del paziente, concordavano sull’indicazione allo studio elettrofisiologico e all’ablazione.

Conclude la C.T.U. sul punto che “in considerazione della progressività della malattia aritmica nonostante una terapia cronica con betabloccanti (e in assenza di evidenze di ischemia coronarica acuta) e della sintomaticità per lipotimia e sincope da sforzo, vi era indicazione a studio elettrofisiologico con impiego di isoproterenolo”.

Quanto alle modalità di esecuzione dell’intervento, all’attività diagnostica e alla terapia successiva, la C.T.U. concorda con la consulenza disposta in prime cure nel ritenere che le stesse siano state effettuate con prudenza, perizia e diligenza professionale, nonché in conformità alle linee guida, ai protocolli e alle buone pratiche esistenti all’epoca.

In merito, poi, alla complicanza occorsa in esito allo studio elettrofisiologico con ablazione, la C.T.U. rileva, concordemente ai consulenti di primo grado, che “la perforazione cardiaca, la quale poteva “ragionevolmente, essere all’origine del prolungato arresto cardio respiratorio/dissociazione elettromeccanica”, sia un evento noto in letteratura, prevedibile ma non prevenibile, il cui verificarsi non può essere in alcun modo riconducibile alla responsabilità dei medici curanti. Nel caso di specie, l’arresto cardio respiratorio era di tipo “PEA”, si trattava cioè di una “dissociazione elettromeccanica”, nella quale si riscontra asistolia o attività elettrica senza polso, ossia il paziente aveva un ritmo non defibrillabile ….(..).. a livello europeo, la percentuale di pazienti dimessi vivi dall’ospedale dopo un arresto senza ritmo defibrillabile è globalmente del 10% circa e sale al 21% nei casi di arresto con ritmo defibrillabile”.

Per tali ragioni, la Corte d’Appello di Torino, respinge le domande proposte.

 Avv. Emanuela Foligno

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